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“Che alla fine se ci pensi è tutto un gioco di prospettive”

Creato il 11 giugno 2013 da Lundici @lundici_it

“Che alla fine se ci pensi è tutto un gioco di prospettive”Disadattati, afflitti, cinici, scettici, infuriati, alla ricerca continua di una stabilità che sembra non arrivare mai, tanto arresi quanto combattenti. Queste ormai sono le prerogative delle nuove generazioni italiane, abbandonate a se stesse, continuamente osteggiate da una società retriva, ancorata a schemi precostituiti e talmente statica da diventare stantia. Queste sono le generazioni che stanno vivendo sulla loro pelle lemalefatte dei loro nonni, poco lungimiranti, e di una classe politica provinciale, egoista, troppo occupata a difendere il proprio scranno.

Così mentre là fuori il mondo cambiava con la Germania che investiva (e investe tuttora) sulle alte tecnologie e risollevava le zone arretrate, con l’Inghilterra che puntava sul lavoro e sull’integrazione sociale e con gli Stati Uniti che potevano vantare le più grandi aziende e università del mondo; l’Italietta media si crogiolava nel piacere fittizio e momentaneo di agi troppo costosi per le proprie possibilità.

Il divario probabilmente si è venuto a creare in seguito a percorsi storici diversi, o forse c’è sempre stato già dal principio, per un’indole naturale e necessità diverse dovute all’area geografica e alle condizioni climatiche del luogo.
Fatto è che una matricola alla sua prima lezione in un’università del Nord Europa si sente dire che è il futuro e che deve studiare per portare un cambiamento effettivo all’interno della società. In Italia invece? Il nuovo viene visto con aria di sospetto, non sempre si trovano persone competenti e il più delle volte professori boriosi guardano gli studenti dall’alto della loro cattedra, convinti di portare il vessillo della Verità tra le mani.

In Svezia consigliano di viaggiare alla fine delle scuole superiori per uno o due anni e poi tornare, ricchi di esperienze, per iniziare l’università (“ovviamente” sostenuti economicamente dallo Stato). Dall’Italia invece il più delle volte se vai via è per sempre, e con il passare del tempo impari a convivere anche con quella sensazione nostalgica di casa perché sai che l’eventuale ritorno comporterebbe insoddisfazione e ristrettezza delle proprie competenze.

Così rimangono i mediocri insieme a tutte quelle persone in cui un po’ ha prevalso l’attaccamento alle proprie origini, un po’ la paura di un cambiamento radicale e un po’ perché credono che qualcosa ancora si possa fare per questa nazione/relitto che nella piattezza dell’oceano lentamente affonda. E proprio queste ultime sentono più intensamente la crisi che si sta attraversando, poiché vivono la propria condizione in una dicotomia costante tra dannazione e privilegio, fondano continuamente l’esistenza su basi nuove, tastano il terreno e tentano un abbozzo di costruzione, ma ritrovarsi nei nuovi assetti è un po’ come trovare l’equilibrio nello scomodo.

Bansky rainbow rain

Bansky revised rainbow rain

Eppure c’è sempre un però, l’alternativa a cui aggrapparsi per modificare l’ambiente e non lasciarsi sopraffare dai condizionamenti esterni, quel però che ci porta avanti e ci fa vedere le cose in maniera differente, da un’altra prospettiva.

Rischiamo di affogare nella pigrizia mentale se non osiamo mai, se non tentiamo nuove strade, se non abbiamo la curiosità di provare qualcosa di diverso, qualcosa che non rispetti per forza le linee guida che ci si siamo imposti. Ribelliamoci alla stasi, rendiamo dinamico ciò che all’apparenza può apparire immobile e noioso. La noia non ha mai portato a nulla di produttivo.


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