Che barba, che noia, che noia che barba!

Da Leragazze

Appena saputa  la notizia non ne abbiamo volutamente parlato perché ci hanno inzuppato il pane un po’ tutti. Certo che l’esternazione del Presidente Monti in merito alla monotonia del posto fisso ha prestato davvero il fianco a risposte di tutti i tipi. Diciamo che è stato un po’ ingenuo. E però diciamo anche che è meglio così: qualche cazzata sarà concessa anche a lui. Non sarà mica finto!

A parte la facile risposta che viene da dare al Presidente del Consiglio, come quella della Signora Camusso  secondo la quale ci sono molti ragazzi che vorrebbero annoiarsi, altre riflessioni mi sorgono spontanee.

Per natura sono sempre stata contraria alla fissa del posto fisso. Sarà che i miei genitori sono stati commercianti, e non mi hanno trasmesso questa filosofia come “valore”. Al contrario di altre famiglie, quella del Marito in primis, che invece lo ha sempre propugnato come fosse l’undicesimo comandamento.

Chi legge il blog lo sa, sono una futura precaria, vicina di scrivania di decine di ragazzi che precari lo sono fin d’ora e che, mese dopo mese,  si sono succeduti l’un l’altro a fare un lavoro di call center che definire dequalificante è poco.

Cerco di astrarmi dai facili e spontanei ragionamenti sulle difficoltà che si incontrano giornalmente in situazioni di questo tipo. Non mi soffermo sulla mancanza di garanzie per il futuro, e la difficoltà di farsi una famiglia, di avere un mutuo, una casa, e magari dei figli. Vorrei cercare di concentrarmi solo sull’aspetto professionale del precariato.

Cambiare lavoro, Presidente Monti, sarebbe bello. E sarebbe bello farlo crescendo di volta in volta come avrà certamente fatto lei  a suo tempo, e come hanno fatto molti amici e familiari che con il loro sudore si sono guadagnati una carriera di tutto rispetto. Certo coraggiosi! Ma con garanzie che oggi ci sogneremmo.

Oggi infatti questo non sembra più possibile. I miei colleghi, quelli di cui vi dicevo, precari da molto, anche loro cambiano lavoro. Ogni mese. Lavorano perlopiù presso aziende che attraverso contratti d’appalto (o di sub-appalto), campano su commesse in outsourcing, vale a dire su servizi prestati per conto di altre aziende che non ritengono conveniente svolgere “in casa” mansioni di quel tipo. Questi ragazzi cambiano spesso datore di lavoro e quindi tipo di lavoro. Ma credetemi, non si divertono affatto:  un ricambio di personale così frequente significa che il lavoro da svolgere non è di alto livello, perché deve essere necessariamente un lavoro banale, facile da imparare e anche molto noioso. Chi invece investe nella formazione di persone destinate a ricoprire ruoli di responsabilità non le lascerebbe certo scappar via,  anzi, se le terrebbe strette! Appare chiaro quindi come il problema della precarietà nel mercato del lavoro coinvolga soprattutto mansioni di basso profilo ricoperte da risorse altamente fungibili. E non essendo possibile  uscire da questo tunnel, nemmeno per le persone laureate, vi garantisco che il cambiamento che saremo costretti a subire è assolutamente foriero di noia, non certo di divertimento.

Intanto chiariamo subito che la possibilità di cambiamento non riguarda me! No, io non sarò mai una precaria! Io sono una “privilegiata” perché alla conclusione naturale del mio periodo di tutela (vale a dire al massimo tra 3 anni) io sarò a spasso, per strada, e nessun’azienda spenderà un soldo per assumere l’anziana ALicE quando potrà avere allo stesso (basso) prezzo qualunque altro lavoratore più giovane, più “fresco” e più flessibile di me!

I miei colleghi, invece potranno cambiare spesso azienda e mansione, e, anzi, lo dovranno fare per forza, ma non sarà un cambiamento migliorativo, perché il lavoro dei precari è un lavoro dequalificante. Chi inizia a lavorare in un call center, o in un posto analogo non riuscirà mai  ad uscirne se non per entrare in un altro simile. La crescita professionale non riguarderà loro: all’interno di questi uffici non esiste, o comunque è molto limitata. La mole di lavoro di queste aziende di servizi dipende infatti dagli appalti che riescono a ottenere. E’ ovvio quindi che la loro politica di gestione delle risorse deve essere estremamente flessibile per adeguarsi velocemente al mutamento delle esigenze; non hanno perciò nessun interesse a far crescere i loro impiegati. Le promozioni di colleghi a cui ci capita di assistere sono spesso in task temporaneo. Vale a dire per un limitato periodo di tempo. E si tratta solo di una promozione di mansione, non economica e non di grado. Perché anche i datori di lavoro campano un po’ alla giornata. Peccato però che loro lo facciano sulla pelle dei dipendenti.


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