Magazine Diario personale
Arrivai all'aeroporto di Catania un lunedì mattina, e Paolo M****** aveva preparato la lista di visite da fare nella settimana: due giorni a Catania, poi Siracusa, Ragusa, Gela, Agrigento.
Visitare aziende, anche senza appuntamento, non era un problema, a quei tempi.
Bastava presentarsi e chiedere del "capocentro", di solito un giovane appena uscito dai corsi dell'IBM o dell'Honeywell che era sempre disponibile a ricevere quelli che stampavano moduli continui.
Lavoravamo duro durante il giorno e poi Don Paolo, che si era piccato di farmi provare le delizie della cucina sicula, mi portava in ristorantini caserecci e pittoresci.
Già la prima sera feci conoscenza con il "ripiddo annivicato", un risotto al nero di seppia servito a forma di montagna, con un cratere in cima pieno di una salsina al peperoncino che bruciava la bocca. Questo piatto è l'omaggio dei catanesi al loro vulcano, e ci volle parecchio vino per spegnere le fiamme !
Ci muovevamo con la scassatissima cinquecento nera di Don Paolo, che consumava più olio che benzina, e tenevamo i finestrini aperti per la puzza costante di bruciato, ma quando ogni tot chilometri cominciavamo ad emettere una nuvola bianca e densa dovevamo fermarci, aspettare tanticchia (come direbbe Camilleri) e versare un bicchiere d'olio nel motore, attingendo alle tanniche stipate dietro il sedile di guida.
Attraversando i paesi, ogni volta che incrociavamo qualche fanciulla Don Paolo metteva la testa fuori dal finestrino e gridava "Miiii, che beddo moddicone !!!".
Stava a significare "capperi, che bel boccone", traducibile in un toscano più gentile come "guarda che bel bocconcino di ragazza !"
Di cliente in cliente arrivammo fino ad Agrigento, tra beddi moddiconi, bicchierate d'olio e pranzi e cene a base di pesce o di carne o di verdure, ma sempre molto... saporite, e con l'accompagnamento di vini robusti.
Del resto, all'età che avevamo Don Paolo ed io non potevano esserci problemi di gastrite, o di stanchezza.
Da Agrigento ripartimmo che era ancora notte fonda, guidando a turno la scassatissima sotto le stelle, e arrivammo giusti giusti per il volo di ritorno.
Dopo la notte eroica, in aereo riuscii a darmi una lavatina, cambiare i calzini e spuntare la barba.
L'odore dell'aglio invece me lo portai dietro come souvenir, per un paio di giorni.
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