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Che brutto il “Libiamo”!

Creato il 12 gennaio 2015 da Zamax

Questo è uno sfogo e come tale va inteso. Cioè non va inteso alla lettera. Come quando nel dolore si impreca contro Dio, senza che a parlare sia il cuore. Dunque. Immagino che ogni tanto capiterà anche a voi: un brutto motivetto, popolare grazie alla sua banalità, vi coglie impreparato e s’impossessa di voi per qualche giorno prima che vi riesca, a forza di potenti antidoti musicali, di scacciarlo dalla vostra testa. Sono rimasto vittima di questo supplizio nei primi giorni dell’anno, dopo essere incappato nel “Libiamo” verdiano del Concerto di Capodanno alla Fenice trasmesso dalla RAI. La musica di Verdi abbonda di questi terribili motivetti (di successo) che non citerò per non scandalizzare ancora di più il vasto pubblico e gli augusti critici musicali. Io non sono affatto insensibile (al contrario, anzi) alle melodie “facili” ed accattivanti, alla musica di immediata comunicatività. Tuttavia, prima ancora che per la fattura, queste melodie si distinguono per il nudo disegno: eccone una che brilla per freschezza, eccone una seconda che v’incanta per delicatezza, una terza che vi conquista per l’imperiosità, eccone una quarta dall’incedere felino, penetrante come una lama, ed eccone una quinta che ha dentro il fuoco e vi avvolge nelle sue spire; tutte queste belle qualità presuppongono però una naturale eleganza; la melodia goffa e grossolana, al contrario, nella sua impotenza ammiccante mi fa sempre l’effetto di un’oscena strizzatina d’occhio.

Perciò devo dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità: quando sento il “Libiamo” io lancio immancabilmente il mio maligno grido di dolore, da anni ridotto a formula fissa: «Aiuto! Il lissio!». Intendiamoci: io non niente contro il lissio; è musichetta senza grilli per la testa, che non pretende altro che essere quello che è: musichetta, appunto; gli spiriti giocondi che ballano il lissio li guardo perfino con simpatia; quelli che l’ascoltano diciamo che dimostrano di avere una fenomenale bocca buona, il che è sempre indizio di ottima e invidiabile digestione. So bene di non essere il solo, sotto sotto, a pensarla così, sul “Libiamo” intendo. E poi c’è tanta gente amante della musica la quale, suggestionata dall’approvazione generale e direi quasi istituzionale di cui gode questa bruttura verdiana, se lo fa piacere con una dolorosa smorfia di beatitudine dipinta sul volto.

In un articolo pubblicato sul Russkie Vedomosti nel 1872 il grande compositore russo Tchaikovsky scrisse: «Questo figlio del soleggiato sud ha peccato molto contro la sua arte inondando il mondo intero con le sue melodie da organetto di cattivo gusto, ma molto gli deve essere perdonato in grazia del suo indiscusso talento e del sentimento genuino che ogni opera di Verdi emana». Ah come, come, come, come, come, come, come lo capisco, il grande Pyotr Ilyich! Infatti, nonostante il suo cattivo gusto, anche Verdi sa essere grande: se la sua Musa non conosce mai veramente la grazia e la dolcezza, che egli surroga spesso con la sapiente, secca ed impassibile sublimazione del banale (prevengo il grande pubblico: il “Va pensiero” è un’altra di quelle bolsaggini verdiane immeritatamente famose che non digerisco), quando si tratta di mettere in musica il tormento e soprattutto il furore, Verdi è veramente nel suo elemento. Tutta questa materia bruta e corrotta viene rifusa in musica con un’energia selvaggia ma controllata. Ed ecco che da questo crogiolo nascono le gemme, come le due che ho nel cuore, tutte due tratte dall’Otello: l’inizio dell’opera, che vi si apre in faccia come una finestra sfondata dalle intemperie e la determinazione davvero marmorea di quel «Sì, pel ciel marmoreo giuro!» che chiude il secondo atto. Ah, che bello!


Filed under: Bello & Brutto Tagged: Giuseppe Verdi, Musica

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