Tra poco da qui passa il Giro d’Italia. Il finale di tappa è a Montecampione, poco lontano, come già successe tempo fa: quell’anno l’avevo guardato, il Giro, proprio fino alla fine. C’era un mostro in testa, tutto muscoli e nervi, all’attacco dell’ultima salita. E qualcosa d’altro era, quel ragazzo, ma quello lo dissero solo dopo, come se fosse un mistero che nel ciclismo, e in molti altri sport, il doping gira fin dalle categorie juniores, come se avesse tradito, come se lui solo rappresentasse quello che lo sport non dovrebbe essere. La fatica e la debolezza di essere mito, ad uso e consumo di chi dietro ci guadagna.
In ogni caso, fu un finale epico ed entrò nella storia. Quest’anno non lo sto seguendo, non so nemmeno quali siano i nomi dei campioni. Un mese fa hanno finalmente asfaltato un tratto di strada e questo mi pare un buon motivo per essere contenti che da qui passa il Giro. Insieme alle elezioni comunali è una delle poche occasioni per far manutenzione.
Lungo la via principale ci sono da giorni palloncini rosa e biciclette infiocchettate; già all’una si sentivano i bambini chiedere, nel silenzio del dopopranzo che avvolge il quartiere, “stanno arrivando?!” e dalle finestre aperte uscivano spiegazioni e sospiri. Adesso invece, fuori, c’è casino: musica a palla, clacson, motori.
La mia casa è a venti metri dalla strada: forse, più tardi, all’ultimo momento, sporgendomi sul terrazzo vedrò lo sciame di ruote preceduto e seguito da auto e moto di tutti i tipi. É una carovana, quella del Giro, che porta per l’Italia lo spettacolo del sudore e delle gambe che pistonano sui pedali.
Adesso però mi alzo, chiudo la finestra e infilo i tappi perchè altrimenti la mia domenica di quiete – sono in una fase di chiusura dal mondo per radunare le energie necessarie ad affrontare il ribaltone e le montagne russe su cui salirò fra meno di dieci giorni – se ne va a farsi benedire. Che poi, uno si chiede, che cosa c’entrino il triangolo di Renato Zero, o L’uomo Tigre, col giro d’Italia. Mah!