Nel mio precedente intervento riguardo la delicata situazione del complesso archeologico di Pompei, auspicavo che il sito più famoso al mondo ritornasse ad essere punto di incontro di intelligenze poliedriche e, soprattutto, di professionisti del settore: archeologi, restauratori, architetti. Insomma meno burocrati. Mi spiace molto apprendere, dall’ edizione odierna del Corriere della Sera, di un appello lanciato da Mary Beard, docente di Storia antica all’ Università di Cambridge. Mi spiace perchè ne colgo l’ inopportunità, politica e intellettuale, in un momento così delicato per le sorti della città antica. Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, vorrei riportare di seguito alcune delle affermazioni della Beard articolate, per comodità del lettore, in tre punti:
1. “Più di recente. i danni (a Pompei) sono venuti da “fuoco amico”: non da operazioni militari nemiche, ma dall’ azione – di logoramento – dei milioni di amanti di Pompei che vi si accalcano ogni anno; e dai graduali processi di decadimento e disintegrazione che affliggono tutte le rovine antiche. Negli ultimi anni si sono verificati crolli drammatici, e molto pubblicizzati, di mura ed edifici sul sito.”
2. “Di chi la colpa? Quando il disgraziato evento si è verificato ( crollo casa dei gladiatori 6 novembre scorso) , è stato troppo facile per chiunque puntare il dito contro chi gli andava a genio. Per alcuni, la colpa è del governo, per altri della Soprintendenza di Pompei. Per alcuni l’ evento è stato una conferma evidente delle ragioni per privatizzare il sito, per altri è stato una prova della scarsezza dei finanziamenti da parte del governo. In realtà, non c’ è motivo di addossare la colpa a nessuno. Il crollo è stato l’ effetto combinato di due fattori ineliminabili… prima di tutto, le rovine non durano. E’ regola ferrea che vadano sempre più in rovina e alla fine cadano completamente. L’ “essere in rovina” non è uno stato naturale o stabile. Tenerle in piedi è sempre una lotta contro i processi della natura.”
3. Allora, che fare? La privatizzazione è un’ idea senza speranza… forse dovremmo avere il coraggio di pensare l’ impensabile. Perchè non fare tutto il possibile per conservare Pompei, impegnandoci in uno sfrozo internazionale, anzichè solo italiano?E perchè non continuare a permettere ai turisti di girare in maniera relativamente libera? E se poi qualche edificio crolla, è certamente spiacevole, ma non è la fine del mondo. Un terzo dell’ area continua a non essere scavata, e rimane a disposizione delle generazioni future, che potranno scoprirla e goderne.”
Con molta fatica riesco a legare queste dichiarazioni di Mary Beard in un tutto che sia logico o, quanto meno, sensato. Partiamo dall’ ultima frase al punto tre: Se poi qualche edificio crolla non è la fine del mondo. Un terzo dell’ area continua a non essere scavata. Come sarebbe a dire che se un edificio crolla non è la fine del mondo?! Parliamo di Pompei, bene dell’ Unesco, non di un quartiere rionale! Cosa c’ entra la parte esistente di Pompei da tutelare, conservare e da valorizzare con tutte le energie possibili con quella ancora da scavare? Sono due elementi complementari che sottendono ad un ragionamento spaventoso: se Pompei crolla non è un gran danno tanto ne resta ancora molta sotto la lava. Un discorso inaccettabile. Improponibile. Miope. La nostra Mary Beard fa ancora peggio quando dice “E’ regola ferrea ceh le rovine vadano sempre più in rovina e alla fine cadano completamente. L’ essere in rovina non è uno stato naturale o stabile”. Cosa?! Esiste una regola ferrea che impone alle rovine di cadere sempre di più in rovina?! Ma che linguaggio è politichese o altro? E’ una frase questa la cui lettura, personalmente, è da sconsigliare agli studenti di Archeologia. Se le rovine vanno sempre di più in rovina per effetto di un meccanismo inevitabile, che senso ha spendere fiumi di denaro per tutelarle? Mi si consenta anche una piccola notazione all’ uso improprio fatto dalla Beard nel definire Pompei una rovina. Pompei è, in primis, un complesso archeologico che rappresenta la quarta entrata del paese Italia. Inoltre, è strano per una “rovina” essere così viva e attraente e non relegata ad uno stato vegetativo come si è soliti immaginare una “rovina”. Ad avvalorare, come dire, il carattere infelice del suo intervento, la storica ha avanzato la visionaria conclusione che i crolli verificatisi a Pompei in queste settimane, non debbano essere attribuiti a nessuno. Cosa?! A nessuno?! Ma la Bread ha qualche cognizione di restauri, manutenzioni, salvaguardia del patrimonio archeologico? Sa che queste sono risorse che aiutano a vivere meglio un’ opera d’ arte? Evidentemente non conosce tutto ciò. Non sa che i crolli sono da addebitare alla superficialità gestionale e allo spreco di denaro pubblico perpetuato da governi di qualsiasi colore politico? Non sa tutto ciò perchè è uno storica con tutto il rispetto. Perchè non abituata a confrontarsi con la dura realtà della conservazione del nostro patrimonio archeologico. Perchè non consapevole dello sfregio che quei crolli hanno inferto al mondo della cultura, dell’ archeologia italiana. Non sa perchè è una storica che ricostruisce una cornice da un punto di vista lontano e troppo, troppo sfuocato. Una ragione in più per affermare ( senza retorica o demogogia) che Pompei va affidata a chi può amarla e a chi può fare qualcosa di fattivo per lei. E non lasciarla nelle mani di osservatori distratti o storici tuttologi di turno. Grazie.