Che fine ha fatto Baby Jane?
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Atmosfere cupe e decadenti, una casa/prigione, una Davis vecchia-bambina dispettosa, pazza e alcolizzata. Cosa c’è di meglio?
La grandiosità di quest’opera è proprio nella suspense e nella cattiveria un po’ esibita un po’ soltanto accennata e la caratterizzazione dei personaggi perfetta, memorabile.
Già, stiamo parlando di un film perfetto, senza sbavature, senza buchi di sceneggiatura, con una regia solida, matura, che sa quello che vuole dire e mostrare.
Cosa fa di questa pellicola un cult? Beh, alcune scene ormai entrate nella storia. Non è qui il caso di rovinare le varie sorprese a chi non l’ha mai vista, ma si deve assolutamente citare Bette Davis/Jane che che canta I’ve written a letter to daddy accompagnata al pianoforte dall’ingenuotto e sbandato Edwin Flagg (Victor Buono, nominato agli Oscar come Migliore Attore Non Protagonista per questo apparentemente facile ruolo): agghiacciante, ridicola
Il finale invece – che qui non verrà svelato – farà capire realmente perché Jane è impazzita e si è ritrovata ad accudire la sorella. Il negativo diventa parzialmente positivo e si proverà anche pietà – ma già la si provava dall’inizio – per lei.
È film che con il gioco al massacro delle due sorelle mette alla berlina le manie di protagonismo e la smania di successo, critica aspramente lo star system hollywoodiano, lo prende palesemente – ma con grande eleganza – in giro.
Fu presentato al Festival di Cannes nel 1963. Delle cinque nomination agli Oscar ne vinse soltanto uno: quello per i Migliori costumi.
Che fine ha fatto Baby Jane?, un titolo famosissimo per un’opera che invece i più giovani non conoscono (o quasi) ma che devono assolutamente recuperare. Niente effetti speciali: tutto montaggio (ineccepibile) che crea tensione e terrore insieme alla colonna sonora, alle performance attoriali (perché se viene menzionata sempre quasi esclusivamente la Davis, bisogna assolutamente dire che la Crawford ha dato una prova eccezionale, soprattutto in una scena – anche questa diventata cult – del piatto “succulento” servitole da Jane, con lei visibilmente turbata che si fa prendere dal panico e gira su se stessa con la sedia a rotelle) e ad un Aldrich più in forma che mai, senza prolissità e momenti di noia. È uno di quei film che lasciano letteralmente a bocca aperta per la genialità della messa in scena. Un capolavoro – per gli altri invece – da rispolverare.
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