Finora mi sono occupato del blocco istituzionale costituito dall’insipienza opportunamente pilotata dei grillini. Ma se lo stallo è stallo non è dovuto solo ai calcoli millimesimali di Grillo e di chi gli sta sopra. Lo stallo arriva anche dal precipizio che la politica tutta e la qualità umana degli uomini che la compiono stanno percorrendo trascinando con sé il Popolo Italiano. Già, quel Popolo Italiano di cui tutti si riempiono la bocca e con cui fanno sibilare i denti ma del quali pochi, veramente pochi, si curano realmente.
Parliamo del Pd, di quel mostro organigrammico che usiamo chiamare partito e che rappresenta, al di là delle anagrafiche registrazioni che puntano sulla Lega, il più antico partito italiano, ereditando la struttura del vecchio PCI ma, purtroppo per noi, non la qualità. Il PD oggi rappresenta, dopo il ragionato blocco di Grillo, la vera ragione per cui il sistema politico italiano rimane inamovibile.
Dal PDL non ci si può aspettare, per definizione, nulla che sia innovativo, riformatore, vagamente, anche per sbaglio, modernizzante. Un partito nato solo per sostenere gli interessi economici (e penali) del proprio leader e che, a tutt’oggi e nonostante tutti gli scandali, continua a portare in piazza spontaneamente migliaia di Italiani (tolti quelli prezzolati) non è elemento di blocco, è elemento di ostacolo naturale. Il PD, invece, che dovrebbe rispondere alla definizione di progressista, tutto è meno che questo.
Bersani, questo nome su cui si è arroccato il partito, cominciando dalla Direzione Nazionale per finire alle singole segreterie di paesello, risulta essere la pietra del non scandalo. Bersani rappresenta l’inamovibile, il conservatorismo del progressismo, il motivo per cui a sinistra ci si sta suicidando. Egli è espressione di una nomenclatura da PCUS che è la stessa che esprime ogni singolo, o quasi, segretario periferico. È l’espressione di quell’apparato che ha respinto Renzi (nonostante Renzi non fosse la soluzione ma soltanto parte di essa) e che, pur avendo perso in molti centri periferici, continua a governare il partito nonostante non sia in alcun modo rappresentanza della base.
È proprio questo il problema: il PD ha perso contatto con la base. Ha mantenuto l’apparato del vecchio PCI ma non è stato in grado di conservare la capacità di rapportarsi col popolo elettore che il vecchio partito aveva, nello sforzo spasmodico di occupare posti di potere, siano essi commissioni, consigli di amministrazione, banche o piccole inutili associazioni cittadine. Intere stirpi familiari occupano oggi, dopo anni di gavetta, i ruoli chiave periferici di questo apparato convinti di conservare il potere senza accorgersi di distruggere la sinistra e trascinare con sé l’Italia nel baratro.
Bersani ha perso le elezioni. Le ha perse di brutto ma rimane al suo posto. Nessuno ne ha chiesto le dimissioni come ci si aspetterebbe e come ci si sarebbe aspettati da un partito politico di scuola politica italiana come dovrebbe essere il PD. Nessuno ne chiede le dimissioni perché Bersani rappresenta il vertice di una piramide di poteri che partono dai piccoli comuni e arriva fino al segretario ed oltre, superando il vertice stesso della piramide per arrivare a Ra D’Alema che ancora tutto muove.
Meravigliarsi del fatto che Grillo non voglia accordarsi con questo sistema è da stupidi e disattenti. Ma fregare Grillo è facile: basta far fuori Bersani e il suo dio-sole-D’Alema stravolgendo i vertici del partito progressista italiano rendendolo davvero progressista. La gente di qualità c’è, senza scomodare Renzi. Pensiamo alla Serracchiani, ad esempio, splendido esempio di intelligenza, lungimiranza, progressismo e, virtù non da trascurare, poco incline al populismo. Che fine ha fatto la Serracchiani e l’ondata di rinnovamento che, per una frazione di secondo, ha percorso il PD e che poteva salvare l’Italia?
Luca Craia