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Che fine ha fatto la “rottamazione” renziana?

Creato il 25 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Pinocchiodi Michele Marsonet. Quando Matteo Renzi comparve con prepotenza sulla scena politica nazionale, partendo dalla poltrona di sindaco di Firenze, si autodefiniva “rottamatore” e tutti lo chiamavano così. Era sufficiente la parola a indicarlo, senza bisogno di ricorrere a nome e cognome.

Considerata la relativa novità del termine – almeno in politica – qualcuno tentò pure di precisarne con maggiori dettagli il significato. Si apprese, dunque, che dev’essere definito rottamatore “colui che si propone di allontanare e sostituire un gruppo dirigente antiquato”.

Però attenzione. Il Renzi degli esordi identificava il suddetto gruppo dirigente (o talvolta i gruppi, al plurale) in base a meri criteri anagrafici. Antiquati erano pertanto i “vecchi” (o “anziani”), senza peraltro specificare una precisa linea di sbarramento, dettata dall’età, sopra la quale si precipitava senza speranza nel vituperato vecchiume.

Già a quel punto era ovvio che un simile criterio non poteva funzionare. Si può essere giovanissimi esibendo idee antiquate e, viceversa, anziani con idee innovative. Un gran pastrocchio, insomma, che l’allora 38enne sindaco di Firenze si guardò bene dal chiarire.

E il chiarimento non l’ha fornito neanche adesso, dopo aver appena compiuto i 40. Per quale motivo? Semplicemente perché una tale suddivisione non sta in piedi. Renzi ha inventato una sorta di slogan divenuto in breve tempo un mantra onnipresente nei mass media e addirittura nella vita quotidiana.

Tuttavia gli slogan a volte restano e a volte no. La celebre frase di Barack Obama “yes we can” finì ben presto nel dimenticatoio. Non fu il Presidente americano ad abbandonarla: venne scordata quando si capì che alle parole non corrispondevano i fatti.

Il caso del segretario PD è diverso. E’ stato infatti proprio lui a usare la parola magica “rottamazione” con frequenza progressivamente decrescente, lasciandola poi perdere da almeno un anno a questa parte. Forse è comparsa ancora in qualche discorso ma, con tutta franchezza, io non me ne sono accorto.

Non si insisterà mai abbastanza sulla potenza e sull’importanza della retorica nella vita politica. Uno slogan in grado di colpire l’immaginazione popolare vale più di mille analisi sociali ed economiche. Quest’ultime non procurano voti. Lo slogan invece sì, se è centrato e cattura l’attenzione delle folle in un determinato momento.

Renzi non si sogna nemmeno di insistere sulla rottamazione in questo periodo per motivi evidenti. Silvio Berlusconi è senz’ombra di dubbio uomo che rientra a pieno titolo nel novero dei rottamandi (a causa dell’età, ovvio). Ma l’eventuale successo del segretario PD è strettamente legato alla tenuta del patto del Nazareno, del quale il Cavaliere è il secondo garante. E senza che all’orizzonte, come ha per esempio notato Vittorio Feltri, si vedano per i due contraenti alternative plausibili (almeno ora).

E’ pure lecito chiedersi se Matteo Renzi abbia mai preso sul serio la rottamazione che agli inizi gli aprì la strada del successo politico. A mio avviso no. Infatti ha rottamato senza remore uno come Enrico Letta, che ha pochi anni più di lui, e non vede l’ora di far fuori Civati che ha la sua stessa età.

Almeno nell’uso degli slogan usa-e-getta l’ex sindaco di Firenze si è rivelato assai abile. Senza però scordare che, quando ha messo in pratica la “filosofia” della rottamazione, abbiamo visto risultati pessimi. Lo testimoniano alcuni ministri del suo governo: giovani sì, ma piuttosto incompetenti.

La mia conclusione, che ovviamente non sarà condivisa da tutti, è la seguente. Il giovane fiorentino si è spianato la strada grazie a parole d’ordine nella cui bontà lui stesso non credeva (anche se fingeva il contrario). In politica può succedere, ma è importante cercare di capire dove termina la finzione e inizia la realtà.

Featured image, original art by Enrico Mazzanti

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