Questo intervento è frutto di una serie di riflessioni nate da vari stimoli. Ho scelto di riportarle su Il Caso S. perché da tempo si stava sviluppando una discussione in merito al rapporto tra letteratura e storia, in particolare sul suo rapporto con le fonti. Letteratura puo’ essere fonte, o le può riportare, rimanendo ad esse più o meno fedele. Sicuramente, storia e letteratura hanno un approccio “narrativo” ai fatti, nonostante sia diversa la loro aderenza alla “realtà” degli stessi.
Ho scelto quindi di riportare, parzialmente rivista, una mia presentazione “accademica”, fatta per ottenere un qualche “voto” all’università di Granada. Il corso di riferimento era “Mujeres en la antiguedad clasica”, della professoressa Dolores Miron e avevo deciso di trattare la rappresentazione di Ipazia nei secoli, la scienziata alessandrina che visse ad Alessandria nel IV secolo dopo Cristo (qui trovate la bibliografia di riferimento, qui le slide della mia presentazione – entrambe in spagnolo). Continuando a leggere, perché non di soli saggi si vive, ho poi trovato interessantissimo, per la chiave di genere utilizzata, il romanzo Timira, che ho chiuso con la tristezza della parola fine, con la voglia di leggerlo di nuovo, trovare ciò che vi avevo perso e perdermici un’altra volta.
Copertina di Ipazia (di Colavito e Petta, 2009)
Qual è il ruolo della rappresentazione nel processo di diffusione della conoscenza storica?
Quale il suo ruolo nella costituzione di un immaginario comune intorno al genere?
O meglio, come la letteratura ha rappresentato storie di donne in un contesto storico?
La risposta a queste domande non è affatto semplice, per questo cercherò di darvi una risposta molto parziale, a partire dai problemi che mi sono posta leggendo il libro Ipazia: vita e sogni di una scienziata del IV secolo (Roma, La Lepre, 2009, scheda) di Antonino Colavito e Adriano Petta, scritto nello stesso anno di uscita del film Agorà). Il libro, nonostante la vena polemica che percorre le mie riflessioni, mi era piaciuto, a scanso di equivoci, ma vorrei anche rapportarlo a un altro testo, che mi sembra meglio accostarsi a come vorrei che le donne, ma non solo, fossero rappresentate. Questo senza nulla togliere alla parzialità delle mie riflessioni, inficiate senza dubbio da gusti, ideologie, modelli di donna. Non per caso, per altro, ho scelto due testi scritti da uomini (avevo pensato di accostarli anche a L’arte della gioia di Goliarda Sapienza).
Ipazia fu una delle prime scienziate della storia e sicuramente la più famosa. Scrisse di geometria, algebra, astronomia, migliorò il disegno di un astrolabio (strumento per determinare la posizione delle stelle), inventò un densimetro e realizzò un planisfero. Elementi tutti riportati nel libro, così come il suo essere insegnante (e direttrice) della scuola neoplatonica di Alessandria, una delle più importanti dell’epoca. La scuola era aperta a tutte le religioni e ad esempio il discepolo preferito di Ipazia, Sinesio, divenne successivamente vescovo.
Ipazia era anche amica di politici dell’epoca, come il prefetto Oreste, governatore dell’Egitto all’epoca della sua morte, avvenuta quando aveva 45 o 60 anni. Purtroppo non ci sono arrivati suoi scritti, quel che sappiamo su di lei ci è stato tramandato da critici (soprattutto fondamentalisti cristiani) o persone che volevano tramandare il ruolo positivo che ebbe nel panorama culturale di Alessandria. Eccetto che per le lettere di Sinesio, le fonti che abbiamo sono successive di alcuni anni rispetto alla sua morte nel 415.
Non si sa esattamente chi uccise Ipazia e soprattutto perché.
Probabilmente fu per mano dei fanatici cristiani o dell’esercito dei parabolani assoldato dal vescovo della città Cirillo (un potere politico tanto quanto religioso) per un conflitto con il prefetto. Ma le ipotesi sono molte, la più antica è quella che la rende martire “pagana”, uccisa perché non sottomessa una religione cristiana che si strutturava in una chiesa sempre più gerarchica e diventava obbligatoria per i cittadini e le cittadine dell’Impero romano. Un’altra ipotesi è che sia stata punita per il suo stesso essere una donna “pubblica”, che non si limitava a tenere lezioni nell’esclusiva scuola di Alessandria, ma le impartiva anche nelle strade. Per altro dalla morte del padre probabilmente rimase senza la “protezione” formale di un uomo – se assumiamo, come probabile ma non certo, che morì nubile. Quello che sappiamo è che fu una donna importante, capace di incidere sulla città di Alessandria tra quarto e quinto secolo, e che per le sue azioni e pensieri fu uccisa.
In questo sostanziale vuoto informativo, ed escluso il suo presunto ritratto per opera di Raffaello all’interno della scuola di Atene[1] la figura di Ipazia venne recuperata nel 1700 prima e nel 1800 poi per servire qualsiasi discorso: il contrasto al potere ecclesiastico per l’Illuminismo la fascinazione per una pensatrice pagana per il Romanticismo[2]. Persino alcune femministe si sono servite della sua figura strumentalmente, rendendola una attivista ante litteram[3].
Opera fondativa di questa modalità “agiografica” di tramandare la figura della scienziata fu senza dubbio l’opera di John Toland, intitolata Hypatia or the History of a most beautiful, most virtuous, most learned and in every way accomplished Lady, who was torn to pieces by the Clergy of Alexandria to gratify the pride, emulation and cruelty of the Archbishop commonly but undeservedly titled St. Cyril. A oggi, non sembra essere cambiato molto, se leggiamo sulla quarta di copertina del libro di Petta e Colavito che la storia narrata fa parte di una trilogia della lotta tra ragione e fanatismo. In questo caso, per altro, l’idealizzazione avviene nonostante un lavoro di ricostruzione sia accuratissimo da un punto di vista storico. Sono presenti alcune finzioni narrative, ad esempio i numerosi viaggi fatti dalla donna o l’inesatta menzione di una sua presenza “particolare” alle Olimpiadi (le vergini vi erano infatti ammesse e nel romanzo si assume tale prospettiva sulla sua figura). Per capire ancora meglio l’atmosfera del libro, sempre in un’intervista a Petta[4], è riportato che con l’uccisione di Ipazia «ebbe inizio l’oscurantismo che fece precipitare il mondo intero nel dubbio». Ancora peggio fa il film di Amenabar, in cui, travisando la storia, Ipazia diventa donna politica che ha addirittura accesso all’assemblea della città ed è immancabilmente giovane e bella, grazie a uno spostamento indietro della data di morte (altre interessanti critiche alla pellicola sono fatte da Petta nel suo articolo).
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene (particolare con quella che dovrebbe essere Ipazia)
Tornando alle domande che proponevo, il problema di questo tipo di rappresentazioni, a mio avviso, non risiede tanto nell’essere “false”, perché parlando di fiction, per quanto basata sulla storia, l’invenzione può essere sempre inclusa legittimamente. Una maggiore aderenza alla realtà non può che fare bene a chi ne fruisce, ma non la trovo un problema “etico”.
Quello che mi pare manchi è un aggancio ad una realtà quantomeno possibile. Si continua a rappresentare con Ipazia “lo spirito di Platone nel corpo di Afrodite”, o la Ragione (vergine) che ricorda la dea Atena – ma anche le “nostre” sante – così alle donne (le donne “vere”) che combattono tutti i giorni per creare saperi diversi. Recuperarne una materialità, forse non sarebbe “storicamente errato”, per quanto l’entità del mito che ha protratto ne testimonia, a mio avviso, la straordinarietà della vita e dell’insegnamento.
Concludendo il mio intervento, vorrei contrapporre a questa rappresentazione di donna un po’ artificiale, tanto brava e capace scienziata quanto immateriale, la rappresentazione di Isabella Marincola, una donna realmente vissuta, rappresentata da Wu Ming 2 e dal figlio Antar Mohamed nel romanzo Timira, già recensito su Il Caso S.
Perché contrapporre questo testo a quello di Ipazia?
Perché nonostante nel primo a parlare sia un suo (innamoratissimo) discepolo, la visione che ne abbiamo è quella di una donna impossibile, mentre nelle parole che descrivono Isabella ritroviamo tutta la materialità e il calore di una persona reale, con cui chi legge parla. Riusciamo ad amarla grazie alle sue imperfezioni, come tra i migliori amanti. La ricerca di una vita degna e piena la porta a errare, a viaggiare tanto quanto a commettere errori. Il proliferare di voci narranti poi, ne costruisce gli spigoli, i denti che cascano come il morale nei periodi difficili e la voglia di farcela comunque.
La vita di Isabella Marincola, ripercorre anche gran parte della storia “sporca” italiana: quella coloniale, a partire dalle relazioni incestuose dei “nostri” militari (i nostri ragazzi, dice qualcuno), ma anche quella fascista. Per concludersi insegnandoci qualcosa sulla Somalia e la sua complessità.
Locandina di “Agorà” (di Alejandro Amenabar, Spagna 2009)
Chiudo dicendo che una nota virtuosa è che nonostante i due testi siano narrativi, entrambi hanno più autori ed entrambi riportano le fonti utilizzate per la scrittura. Anche se Timira ha il duplice pregio di concludersi con una sezione in cui, divisi per capitoli di riferimento, sono presenti quasi tutti i contributi apportati alla stesura del romanzo. Persone che hanno condiviso riflessioni e consigli, ma anche canzoni e altre suggestioni. Quasi tutti perché rendere la complessità di una vita e della sua stesura è un’impresa titanica che mai si può concludere.
La mia ultima osservazione è che uno sforzo rappresentativo va fatto non solo nella scelta di ciò che si narra, ma anche nella forma in cui lo si narra. La sfida a un narratore monolitico (anche se parziale, come nel caso di Ipazia) è una sfida anche a un certo tipo di cultura. Non ci sono giganti sui quali ci arrampichiamo, ci sono folle, ci sono fosse comuni, ci sono mostruosità che hanno permesso uno “sviluppo” culturale, di cui dobbiamo rendere conto in ogni parola, se vogliamo adottare una prospettiva femminista e postcoloniale e credo che questo vada applicato, con tutte le difficoltà che ciò comporta, anche agli scritti relativi al passato più antico.
Letture consigliate
- Amalia González Suárez, Hipatia, Ediciones del Orto, 2000.
- Maria Dzielska, Hypatia of Alexandria, Harvard University Press, 1996.
- Il ritratto parrebbe esserle stato erroneamente attribuito su una pagina web che ha avuto molta fortuna. Il mito che riproduce se stesso.↵
- Incarnazione dello spirito di Platone con corpo di Afrodite.↵
- Ursula Molinari, contrariamente alla maggior parte delle rappresentazioni che la vogliono vergine, la rappresentò come esperta di questioni sessuali e martire per l’emancipazione femminile.↵
- Intervista ad Adriano Petta su ALIAS riguardo il film Agorà ALIAS – Il manifesto, 08 aprile 2010, disponibile su: <http://www.lalepreedizioni.com/recensioni_visualizza.php?Id=83>, link consultato il 14/03/2013.↵
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Otto Griebel, L'Internazionale David Harvey, L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvive...Mirafiori
Giuseppe Berta, Mirafiori, Il Mulino, Bologna 1998. (sul sito de Il Mulino, puoi "sfogliare&quo...
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