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Sigmund Freud, che non mi sta particolarmente simpatico, ma che pure ne ha azzeccate diverse assicurava: È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole. Ed è su questa frase, pescata da chissà quale cassetto della memoria, che ho indugiato una volta che sono riemerso dalla lettura di queste pagine, sorpreso, alle prese con sensazioni che non credevo più di riconoscere.
Come se avessi recuperato un pezzo di me, di cui non sospettavo più l'esistenza, un pezzo che forse affonda nei miei anni di studente liceale, epoca bella e infernale, oppure no, che forse riguarda quell'età di cui Paul Nizan affermava perentoriamente:
Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita.
Tranne poi innamorarsi di quei 20 anni, innamorarsi anche di quelle vertigini metafisiche, di quelle notti insonni, di quel vagabondare con amici che sognavani Parigi e la rive gauche degli esistenzialisti, o forse l'India, forse qualche puerto escondido dell'America Latina.
Oppure no, perché è di tutti e di tutte le età e le scelte della vita, questo dilemma, questo riproporsi delle ragioni della vita e della morte. Questo arrovellarsi sul perché, questo fermarsi sul ciglio della strada e chiedersi: ma vale la pena?
Però c'è modo e modo. E in queste lettere dell'Aspirante Suicida e di Quello che aspetta la risposta c'è freschezza, c'è sincerità, c'è quella speciale leggerezza che sa andare al cuore delle questioni più dei saggi ponderosi.
Leggerezza, è ovvio, da non equivocare con la superficialità, perché poi il gioco, se di gioco si tratta, è assai meno innocente di quanto ci induca a credere, è quel gioco terribile e affascinante che ti inghiotte come una droga, è quel gioco che, in questo caso, chiama in causa perfino Leopardi e Goethe – il Goethe del Giovane Werther e che, sì, si scrive proprio così – quel gioco che non finisce più e che si chiama letteratura.
Goethe, dunque, il Goethe giovane, nave in balia della tempesta del Romanticismo, passioni e sentimenti, sogni e paure. Quel Goethe di cose così:
Sollevare il sipario ed introdurvisi: questo è tutto! Perché indugiare, perché temere? Forse perché ci è ignoto cosa viene al di là di esso? O perché di là si ritorna? Perché la nostra mente è fatta in modo da pensare che vi siano tenebre e caos là dove non sappiamo nulla di certo.
Nulla di certo, è chiaro, nulla di certo, in questo mare che abbiamo davanti e che ci permette solo di spiegare le vele.
Nulla di certo, o forse sì, almeno una. E la dico come la diceva una poetessa dell'anima come Emily Dickinson:
Una parola muore appena detta, dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento comincia a vivere.
E questo è certo: in questo piccolo grande libro troverete molte parole che cominciano a vivere.
(dalla mia introduzione a Valentina Santini, Lettere di un'aspirante suicida, Romano editore)
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