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Che succede ad Obama, for dummies

Creato il 16 maggio 2013 da Danemblog @danemblog
In Italia se n'è parlato poco. I media generalisti hanno bucato un po' la notizia, con buona consapevolezza hanno preferito dare spazio ad altre cose che venivano dagli Usa (tipo queste) e l'hanno mandata in coda.
C'è un scusante, però: perché dietro al casino - non troverei un termine più diretto per definirlo - che sta coinvolgendo, rischiando di travolgerla, l'amministrazione Obama, c'è un ampio spazio temporale. Come dire, le cose non sono successe tutte insieme. E nemmeno sono legate: anzi, viaggiano, pericolosamente, in modo indipendente, sul piano del dove, quando, come e perché (il chi, è sempre lui, Barack). Circostanza - la non correlazione - che rischia di peggiorare la situazione, in quanto il pantano intorno al 1600 di Pennsylana Ave è già su tre lati.
Facciamo così, provo a riassumerle rapidamente, poi utilizzo il post per eventuali aggiornamenti, dato che tutto è ancora sospeso. E negli Usa, a differenza che qua da noi, gli stanno dando un certo peso, così che George Will, opinion writer del Washington Post ha parlato di "echi di Watergate". Non è poco.
Parto col dire che ieri sera, dopo giorni di ragionamento e tentato raffreddamento, è arrivata al reazione della Casa Bianca sul triplice fronte. Adesso sarà interessante (per certi versi didattico) vedere il seguito.
1. Questione IRS. L'accusa, smascherata da AP, riguarda controlli fiscali incrociati, a cui furono sottoposte esclusivamente associazioni filo-conservatrici tra il 2010 e il 2011, le cui richieste di accertamento partirono tutte da uno stesso ufficio di Cincinnati (Ohio). Obama mostrando il proprio disappunto e ricordando lo spirito ovviamente super partes dell'agenzia di riscossione, ha chiesto - ottenendole - le dimissioni di Steve Miller, a cui era stata commissariata la gestione dell'Irs. A quanto sembra, Miller sarebbe stato a conoscenza degli accertamenti fiscali mirati ai gruppi di destra.
2. Questione AP. Il Dipartimento di Giustizia, guidato da Eric Holder (praticamente il nostro Ministro della Giustizia) avrebbe intercettato le utenze personali di una ventina di giornalisti dell'Associated Press, nell'ambito di un'indagine su una fuga di notizie riguardante un attentato di Al Qaida sventato dall'intelligence statunitense. La critica, aspra, arriva sia dai repubblicani che da aree democratiche, in quanto è sembrato eccessivo e violento, l'uso delle intercettazioni - peraltro in segreto - che avrebbero violato senza necessità reali, la privacy dei giornalisti interessati. In Usa alla libertà ci tengono davvero. La Casa Bianca ha bypassato  - o almeno sta provando a farlo - l'empasse, adducendo un rischio di sicurezza nazionale, e proponendo in contropiede uno nuova legge a tutela dei giornalisti e delle restrizioni sulle procedure per richiedere le intercettazioni agli iscritti alla categoria.
3. Il caso Bengasi. Riguarda l'attentato dell'11 settembre scorso, in piena campagna elettorale, in cui perse la vita l'ambasciatore americano Cristopher Stevens. La questione si è riaperta perché sono stati pubblicati alcuni documenti con cui si è arrivato ai "talking points", che sarebbero delle brevi dichiarazioni affidate alla rappresentante Usa all'Onu (Susan Rice) per poter riferire ai media sull'accaduto. I documenti sarebbero pieni di animose discussioni tra dirigenti della CIA e del Dipartimento di Stato, con smentite e correzione delle versioni da trasmettere. I Repubblicani accusano su questo l'amministrazione Obama, di aver lucrato elettoralmente, facendo passare una versione polite (si dava la colpa a manifestazioni spontanee a seguito di un film ilare su Maometto, anziché ad un'azione terroristica come diceva la CIA) di quello che è successo per tirare fuori i piedi dal fango di eventuali colpe sulla conoscenza del pericolo e sul mancato intervento successivo (quando ancora Stevens poteva essere salvato dalla forze speciali).  La motivazione sarebbe stata, la volontà di minimizzare per evitare il rischio di calo di consensi alle imminenti urne. Sempre mercoledì, la Casa Bianca ha diffuso la versione integrale di quelle email, con l'intento di dimostrare che non c'è stato nessun genere di occultamento per far fronte a conseguenze elettorali negative. E insistendo che il ruolo dell'amministrazione è stato solo quello di mediazione su punti e discussioni tra alti funzionari, che riguardavano la salvaguardia della sicurezza.
Su tutti e tre i casi, oltre alle inchieste giornalistiche, si sono aperte quelle del Congresso, che mirerà a far chiarezza di sicuro senza il timore di tirare in ballo l'impeachment.
Link:
- su AP un bel pezzo di Europa
- su IRS il pezzo de Il Post
- su Bengasi il pezzo de La Stampa

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