Magazine Astronomia

Che tempo farà domani lassù?

Creato il 29 luglio 2010 da Stukhtra

Rombi di spaziomoti e vortici celesti

di Michele Diodati

Quando sentiamo parlare di previsioni del tempo, pensiamo subito alla lavagna del meteorologo, su cui le spartane isobare di una volta sono state ormai sostituite da una moltitudine di effetti grafici e digitali, che riproducono nuvole, temporali, mari mossi o piatti, il Sole che fa capolino tra le nubi o dardeggia spietato sulle nostre teste. Ma non esistono solo le previsioni del tempo atmosferico. Per chi lavora con satelliti e telecomunicazioni, divengono sempre più importanti le previsioni del tempo che farà nello spazio (space weather). E che può essere un tempo estremamente perturbato, percorso da spaziomoti e turbinose correnti circolari di plasma in grado di scaricare a terra insospettate quantità di energia.

In soldoni, il compito principale a cui gli studiosi del tempo spaziale si dedicano è quello di analizzare, comprendere e, nei limiti del possibile, prevenire i fenomeni prodotti dall’interazione del vento solare con il campo magnetico e l’atmosfera terrestri, di cui le aurore polari sono un classico esempio. Si tratta di fenomeni che, oltre una certa soglia d’intensità, minacciano la sicurezza di astronauti e attrezzature in orbita, interferiscono con le telecomunicazioni e possono danneggiare anche seriamente gli impianti a terra sensibili alle variazioni del campo magnetico e ai sovraccarichi di elettricità.

Per questo tipo di studi la NASA ha lanciato nel febbraio 2007 la missione THEMIS (Time History of Events and Macroscale Interactions during Substorms). Una costellazione di cinque satelliti identici solca la magnetosfera, misurando ogni variazione del campo magnetico terrestre nel tentativo di determinare quali processi fisici innescano le spettacolari aurore che di tanto in tanto appaiono nell’alta atmosfera, colorandola di guizzanti particelle ionizzate. La missione non è stata avara di risultati scientifici. In uno studio pubblicato nell’aprile scorso su “Geophysical Research Letters”, Evgeny Panov, dell’austriaco Space Research Institute, e i suoi collaboratori descrivono la scoperta da parte delle sonde THEMIS degli spaziomoti (spacequake), corrispettivi spaziali dei terremoti che scuotono la superficie terrestre.

Uno spaziomoto nasce dall’azione del vento solare sul campo magnetico che circonda e attraversa la Terra. Sull’emisfero illuminato il campo geomagnetico viene costantemente compresso dalla pressione esercitata dal flusso di particelle cariche provenienti dal Sole, mentre sull’emisfero notturno è stirato e ondeggiante come una manica a vento. Il lato stirato del campo geomagnetico può subire ad opera del vento solare torsioni così forti da far scattare indietro all’improvviso le linee di campo sotto tensione, come molle caricate fino a spezzarsi. Quando questo accade, si verifica lo spaziomoto: le particelle cariche rimaste intrappolate all’interno delle linee di campo vengono sparate verso la Terra a tutta velocità, come colpite da una frusta. Quando il gas ionizzato impatta contro le linee di campo poste a una distanza di circa 30 mila chilometri sopra l’equatore terrestre, comincia a rimbalzare all’interno del campo magnetico, generando onde di risonanza, all’inizio più forti e poi sempre più deboli, che si propagano fino a terra, disperdendo al suolo un’energia paragonabile a quella rilasciata da un terremoto di magnitudo 5 o 6.

Che tempo farà domani lassù?

Durante uno spaziomoto, il campo magnetico terrestre oscilla e vibra, attraversato da sequenze di onde del tutto analoghe a quelle registrate dai sismografi nel corso di un terremoto. (Cortesia: E. Panov, Space Research Institute of Austria)

La scoperta più sorprendente non è stata però quella dell’esistenza di spaziomoti, già da lungo tempo sospettata, bensì quella degli enormi vortici di gas ionizzato, grandi come la Terra stessa, che le sonde THEMIS hanno rilevato più e più volte ai bordi della regione di campo magnetico colpita dai getti di particelle cariche sparati verso il pianeta. Si tratta di gruppi di vortici attivi simultaneamente e rotanti in direzioni opposte, che sono in grado di spingere treni di particelle cariche fin dentro l’atmosfera terrestre, generando da un lato magnifiche aurore ma disturbando allo stesso tempo le comunicazioni radio e le indicazioni GPS. Gli spaziomoti, dal canto loro, possono essere ancora più pericolosi. L’energia che scaricano a terra può infatti produrre picchi di sovraccarico di tensione, capaci di bloccare gli impianti elettrici su vaste aree del territorio.

Che tempo farà domani lassù?

Una mappa prodotta da THEMIS dei flussi di plasma registrati durante uno spaziomoto. Le unità di misura sugli assi sono raggi terrestri, da cui si ricava che i vortici hanno all'incirca il diametro della Terra. (Cortesia: NASA)

Come quasi sempre accade, intorno agli spaziomoti ci sono ancora molte domande senza risposta. “Abbiamo ancora molto da imparare”, spiega David Sibeck, del Goddard Space Flight Center. “Quanto possono diventare grandi gli spaziomoti? Quanti vortici possono essere attivi contemporaneamente intorno alla Terra? E in che modo interagiscono gli uni con gli altri?”.


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