Carissimi, vorremmo iniziare questo post con un grande GRAZIE! Grazie per seguirci ancora così numerosi nonostante la nostra latitanza, grazie per i vostri commenti così stimolanti per le nostre riflessioni. In effetti quando Carlo ci chiese di trattare meglio la frustrazione del Mutantropo lì per lì gli rispondemmo sostanzialmente picche, anche perché non sapevamo su che chiave impostare il discorso affinché esprimesse delle sostanziali novità teoretiche rispetto a quanto da noi precedentemente trattato e/o rispetto a quanto immediatamente intuibile da chiunque (non possiamo certo dedicare un post ad ogni stato d'animo del Mutantropo ;). Poi però un anonimo ci chiese di parlare della cupidigia, facendoci notare la sua mancanza nella nostra trattazione. Gli rispondemmo come meritava, ovvero citando il nostro post sull'Ego e i Suoi Appetiti, per quanto i nostri attempati schemi neuronali avessero fatto l'inevitabile corto circuito: la frustrazione non può che essere frutto di cupidigia.
Ma è stato un recentissimo fatto di cronaca a darci la sveglia: il rapimento da parte dell'Isis dei due ostaggi giapponesi, di cui uno purtroppo assassinato e uno in predicato di liberazione, che ci auguriamo avvenga al più presto. Ora, ci perdonino le famiglie dei due malcapitati, nel caso dovessero leggere queste righe. Noi non vogliamo certo strumentalizzare un episodio tragico, ma purtroppo (o, dal punto di vista didattico, per fortuna) esso illustra perfettamente le dinamiche psicologiche e sociali cui ci riferiamo quando parliamo di frustrazione del Mutantropo.
Per andare alla base del discorso invitiamo i nostri lettori a rispolverare il post allora scritto sui limiti della Mutantropia. Il quel post, citando Goethe, abbiamo voluto evidenziare come l'insoddisfazione colpisse anche, anzi in un certo modo soprattutto, coloro che avevano raggiunto l'oggetto dei loro desideri con frustrazione e senso di handicap, per quanto tutti sappiamo che frustrazione è la "tensione psichica determinata da un mancato o ostacolato appagamento di un bisogno" (def. Treccani). Insomma descriviamone le fattispecie:
1) frustrazione da non appagamento, a sua volta causata:
- da impossibilità oggettiva, conseguenza di un'apateporia che potremmo definire "a priori" (dell'ottenimento della cosa desiderata)- da impedimento causato da altri, conseguenza quindi di apateporia eterodotta, che in effetti è una sottocategoria della precedente
- da inettitudine nel raggiungerla o endogena, conseguenza di fallimento e, alla lunga, portatrice di atiquifobia
Notiamo di sfuggita che la seconda, quella eterodotta, è tipica di chi fa scelte conformiste.
2) frustrazione da appagamento, ovvero quella cui si è fatto cenno nel post sopra citato, conseguenza di un'apateporia strictu sensu, o a posteriori, ovvero allo smascheramento sconcertante di ciò che si credava fosse. L'anima non è appagata, cerca oltre ciò che si è riusciti a raggiungere.
Esse sono mutantrogeniche: il soggetto diventa autocritico (si mette in discussione) e innesca atteggiamenti mutantropici, ovvero di cambiamento finalizzato a un vantaggio. L'atiquifobia ci fa affinare le tecniche di realizzazione, l'apatepofobia ci fa pensare al perché facciamo ciò che facciamo, al sistema di valori in gioco. Concetti noti e stranoti ai nostri lettori, ma che qui è importante sottolineare perché rappresentano la connessione fra frustrazione e Mutantropia.
Ma torniamo al caso pratico. Già per la sua stessa esistenza, l'Isis è un palese esempio di collettore di frustrazione sociale: l'occidente prima ha colonizzato "il resto del mondo" (non ci piacciono le denominazioni "secondo mondo", che del resto non esiste quasi più, né men che meno "terzo mondo") e vi ha imposto il suo risibile sistema di valori, i suoi patetici feticci e status symbol, tipo il miliardario facile Steve Jobs, che ha tanto sofferto, o il cantante senza talento (artistico) alla Shakira, poi però si ritrova a dover ammettere che non tutti possono essere miliardari o pop-star. Peggio, quei pochissimi che in effetti possono diventarlo devono farlo innanzitutto a rischio di "sacrificio del mutantropo" e secondariamente vanno pescati nell'occidente stesso, ovvero in ciò che esso chiama "primo mondo".
Il resto del mondo non può che rimanerne frustrato. Certuni si rodono di rabbia nei paesi d'origine, certi altri cercano fortuna in occidente dovendosi poi accontentare di fare gli spazzini o i camerieri quando va bene, oppure tecnicamente inoccupati (come molti di noi :). Fra questi ultimi si sviluppano i criminali locali, alla Scarface per intenderci, oppure coloro che, tornando ai paesi d'origine, fanno apologia dello scontro. Quando l'eone è sufficientemente pieno, magicamente si creano movimenti di tipo revanscista, purtroppo fisiologici e connaturati con la stessa esistenza dell'occidente o primo mondo che dir si voglia. Insomma l'Isis è frutto di frustrazione tanto da impossibilità oggettiva quanto eterodotta, meno di fallimento (per quanto chi la vive probabilmente la percepisce così, senza capire di essere stato vittima di un gioco più grande di lui), mentre è quasi assente la frustrazione da appagamento. Qualcuno potrebbe obiettare che quest'analisi non tiene conto degli equilibri geopolitici che fanno dell'Isis la longa manus armata di precisi interessi economico-finanziari, e sarebbe vero, ma in effetti non li esclude, perché non esamina l'origine e lo scopo del califfato bensì il suo successo fra i frustrati del mondo, "primo" compreso.
In questa situazione, già di per sé interessante, essendone un collettore si avvicinano due altri frustrati:
- il sig. Kenji Goto, detto Jogo, 47 anni, giornalista free-lance, quindi precario, in ogni caso dalle velleità umanitariste. Forse avere notizie di prima mano da una delle zone più pericolose e per una delle guerre più sporche del pianeta avrebbe potuto dare un contributo alla sua incerta carriera,- e il sig. Haruna Yukawa, 42 anni, all'apparente ricerca di un impiego in una compagnia militare privata. Insomma è andato a combattere, a dare un senso alla sua vita di militare, nella pratica negata nel suo paese d'origine (forse non tutti sanno che il Giappone, dopo la II guerra mondiale, non ha un esercito regolare), nei fatti un nostalgico militarista con trascorsi di disagio psichico, compreso un tentativo di suicidio.
La frustrazione del primo è data da atiquifobia, quella del secondo, oseremmo dire giustamente, da impossibilità eterodotta. Ma la frustrazione spinge entrambi a mutantropie meschine e, ognuno obnubilato dai propri intenti, non capiscono di essere ottime valvole di sfogo alla frustrazione che loro stessi volevano sfruttare, ovvero quella antistorica, quindi da impossibilità oggettiva, dell'Isis.
Da quando abbiamo sentito, Kenji Goto, il giornalista, si è recato in Siria in aiuto di Haruna Yukawa, il militarista, rapito già da qualche mese, sperando così di poter penetrare meglio il mistero di quella realtà così remota ed esotica, ma ottenendo invece di essere venduto a sua volta all'Isis dalla guida. Col loro rapimento diventano due pedine di scambio proprio nel momento in cui credevano di aver realizzato il loro sogno, facendo così succedere alle rispettive frustrazioni un'incredibile apateporia. Ma mentre il primo aveva uno scopo costruttivo, l'altro era solo ciecamente intento a realizzare sulla sua persona il mito di un guerriero che nella sua cultura era stato soppresso dalla storia. Ricordate cosa si diceva nei due post Etica e Senso Religioso piuttosto che in Etica e Sinestetica? Che il comportamento, in questo caso intendiamo il fare mutantropico, è etico laddove tiene conto degli altri, ovvero dell'ambiente. Questa è stata, dal nostro punto di vista, l'unica vera differenza fra Goto e Yukawa.
Purtroppo per uno dei due, il destino è stato differente per entrambi. Il primo è stato usato come cassa di risonanza per l'efferata e inumana esecuzione del secondo, a sua volta funzionale alla propaganda del collettore di frustrazioni in un allucinante gioco di strumentalizzazioni reciproche. Attenzione: NON stiamo dicendo che chi ha avuto la sorte più infausta se la sia in qualche modo meritata (e comunque la partita sulla loro pelle non si è ancora conclusa), ma certamente ha giocato col fuoco chi ha creduto di mettere un'accozzaglia di frustrati guerrafondai al servizio delle proprie frustrazioni guerrafondaie, ovvero di chi ha creduto di poter manipolare il prossimo ai suoi fini, come da noi fa indisturbato l'osnoblotico. E a giocare col fuoco, ragazzi...
Concludiamo affermando che la frustrazione, per quanto sia una molla oseremmo dire necessaria alla Mutantropia, troppo spesso gioca un ruolo obnubilatorio sulle capacità di discernimento del frustrato. Per favore rileggetevi il nostro post sulla benvenuta apateporia per capire come, davanti alle difficoltà della vita, è oltremodo necessario mantenere calma e sangue freddo. E prendere decisioni comunque sempre armoniche con le energie cosmiche che ci circondano, facendovi entrare in risonanza il Qi personale, o interiore. Non conosciamo altre strade.