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Chi di teaser ferisce #11

Creato il 10 febbraio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Oggi avevo in programma di postare una top ten tuesday completamente a caso, giusto per festeggiare la sopravvivenza alla sessione e l’inizio di due settimane follemente vuote, ma ieri in treno, di ritorno da Siena, nel vocio dei pischelli che tornavano da scuola, mi sono rintanata un angolino di quiete e son caduta dentro il Kobo grazie alle parole della Rutkoski. Vi capita mai di sentir così vivida l’atmosfera di un romanzo dal non percepire più il rumore attorno? Ecco. Preparatevi, però, a far soffrire i vostri cuoricini di feelings che zompetteranno ovunque; naturalmente, nei limiti del possibile, niente spoiler!
Non odiatemi per averlo tradotto, non sopporto l’idea che qualcuno non capisca se posto in inglese. Detto ciò, aspettatevi la recensione venerdì!

11265077Titolo: The winner’s crime
Serie: The winner’s trilogy #2
Autrice: Marie Rutkoski
Editore: inedito in Italia
Anno: in uscita negli USA il 3 marzo 2015
Pagine: 416

Il fidanzamento di Lady Kestrel col principe ereditario di Valoria richiede grandi festeggiamenti: balli, spettacoli, fuochi d’artificio e baldoria. Ma per Kestrel significa solamente una gabbia che lei stessa ha costruito. Incastrata alla corte imperiale come spia, vive e respira un inganno e non può confidarsi con l’unica persona di cui vuole davvero fidarsi…
Mentre lotta per proteggere la libertà del suo Paese dai suoi nemici, Arin sospetta che Kestrel sappia più di quel che dice. Mentre Kestrel si avvicina a scoprire un segreto scioccante, potrebbe non essere un pugnale quello che lo ferisce, ma la verità.

Quando Arin vide davvero, nell’oscurità, la mano della ragazza, poggiata sulla ringhiera vicino al fiume, pensò si trattasse di un fantasma prodotto dalla sua immaginazione. Le dita della domestica stringevano la ringhiera. Suonavano una melodia muta.
Conosceva quel gesto. Conosceva quella mano. Arin rallentò. Era persa nei suoi pensieri. Non lo sentì arrivare, o se lo sentì non le importava. Il fiume importava. La musica nella sua mente importava. Fissava l’oscurità.
Arin era calmo quando le si avvicinò, la chiamò per nome, le toccò la mano fredda e scoperta. Non voleva spaventarla. Pensò dapprima di non averlo fatto. Arin percepì la sua immobilità prima che si voltasse a guardarlo. (…)
“Kestrel, cosa stai facendo?”
Aveva dimenticato com’era vestita. “Niente.”
Arin alzò entrambe le sopracciglia.
“Una sfida”, disse. “La figlia del senatore mi ha sfidata a sgattaiolare da palazzo senza scorta.”
“Ritenta, Kestrel.”
Mormorò, “Ero stanca di stare chiusa a palazzo.”
“Ci credo. Ma dubito che sia tutta la verità.”
Arin strinse gli occhi, osservandola. Una mano si mosse sulla ringhiera mentre si avvicinava. Raggiunse il bavero del cappotto da marinaio. Lo scostò dal collo.
Il mondo divenne inebriante, e lento, e immobile. Inclinò la testa (…) Arin le seppellì il volto nell’incavo tra il collo e il bavero del cappotto e inspirò. Fu invasa dal calore.
Kestrel immaginò: la sua bocca muoversi sulla sua pelle. I denti nel suo sorriso. E immaginò di più, vide ciò che avrebbe fatto, come avrebbe dimenticato se stessa, come tutto quanto sarebbe scivolato via, come della fettuccia preziosa dal suo rocchetto. Sognare tutto ciò la tenne ferma. Non poteva muoversi. Sentì che lui aveva percepito la sua immobilità. Arin esitò. Alzò la testa e la guardò. Aveva gli occhi più scuri.
La lasciò. “Puzzi come un uomo.” Mise un po’ di distanza tra loro. “Dove hai preso il cappotto?”
Kestrel aveva la voce che tremava quasi quanto il suo corpo. “L’ho vinto”.
“Chi era la tua vittima stavolta?”
“Un marinaio. A carte. Avevo freddo.”
“Sei sconvolta, Kestrel?”
“Per niente.” Dette un tono più duro alla voce. “A dire la verità, me lo ha dato lui.”
“Ma che serata che hai avuto: sgattaioli da palazzo, prendi i cappotti dei marinai… Eppure, perché ho l’impressione che questa non è tutta la verità?”
Kestrel alzò le spalle. “Mi piace giocare a carte. I cortigiani non mi divertono.”
“Qual era la posta in gioco della tua scommessa notturna?”
“Te l’ho detto: il cappotto.”
“Hai detto che te lo ha dato lui. Ma hai anche detto di aver vinto. Cos’hai vinto, allora, a carte?”
“Niente. Semplice divertimento.”
“Un gioco contro di te con niente in palio? Impossibile.”
“Non vedo perché. Una volta ho giocato così anche con te.”
“Sì, è vero.” Chiuse gli occhi brevemente (…) La guardò: i suoi occhi grigi cercavano il suo volto. Se ne sentì preda come sempre. Arin sorrise. Non era un vero sorriso, e si strascicò alla parte sinistra del suo volto. “Ti sfido a giocare a Bite e String, Kestrel. Vuoi?”
Si voltò di nuovo verso il fiume. “Devi andartene dalla capitale.”
“Un viaggio nel mare in burrasca con nessuno a tenermi compagnia? Che tentazione.”
Non disse niente.
“Non voglio andarmene,” disse Arin. “Voglio giocare con te. Una sola volta.”
Era una tentazione, e poi c’era un ulteriore cosa, ma stava diventando incredibilmente difficile per Kestrel prendere la decisione migliore. “Quando?”, riuscì a dire.
“Alla prossima opportunità migliore.”
Non c’era un tavolo per Bite e String di fronte ai loro piedi. Kestrel avrebbe avuto tempo per preparare… sebbene non sapesse in cosa consistesse una tale preparazione. Non era solo un gioco? Solo una partita? “Va bene,” si sentì dire.
“Il vincitore si prende tutto”, disse Arin.
“La posta in gioco?”
“La verità.”
Kestrel non poteva accettare. Non poteva nemmeno dire no, perché così avrebbe ammesso che la verità era qualcosa che non poteva permettersi di concedere.
“Non è allettante?” chiese Arin. “Capisco. Forse la posta non è abbastanza alta. Non per te. Non è vero? Kestrel, stai nascondendo qualcosa. E io voglio sapere cosa, diciamo così. Se tu vinci, farò tutto ciò che mi chiedi. Se mi dirai di abbandonare la capitale, lo farò. Se mi chiederai di non rivolgerti mai più la parola, pure. Decidi tu il tuo premio.” Arin le offrì la propria mano. “Dammi la tua parola che mi ripagherai a dovere. Sul tuo onore di valoriana.”
Provò a non guardare la mano tesa di Arin. Teneva il bavero del cappotto chiuso contro il freddo. Perdere era impensabile. Ma se avesse vinto… avrebbe potuto rimandare Arin a casa. Sarebbe stato meglio. Era diventato troppo pericoloso per lui rimanere. Troppo difficile.
“Kestrel.” Le toccò il polso scoperto. Lentamente, infilò le dita nel calore degli ampi polsini del cappotto. Il suo battito accelerò sotto il suo pollice. “L’ultima volta?”, le chiese. Le sue dita si rilassarono, come se non le appartenessero quasi; si aprirono, e trovarono le sue. All’improvviso sembrò che Kestrel fosse una stanza vuota, e che tutti i suoi desideri arrivassero ad affollarla. Ad ammassarsi: delicatamente, le pelli si sfiorarono l’una all’altra. “Sì,” sussurrò.


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