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Chi di teaser ferisce #12

Creato il 03 marzo 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Sono uscita di casa prima delle sette, non rientrerò prima delle otto e non avrò neanche il tempo di pranzare in una giornata così fitta di lezioni, ma fortuna che esiste la programmazione di WordPress e posso lasciarvi un teaser. Avrei voluto sbrigarmi con le recensioni o postare il primo post di una nuova rubrica a cui sto lavorando, ma non ce l’ho fatta, quindi vi beccate la McLean e il suo Stai con me in ogni respiro. Di lei ho letto, qualche mese fa, More than this e non mi aveva proprio convinta ma per ora, questo, lo sta facendo molto di più.

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stai con me in ogni respiroTitolo: Stai con me in ogni respiro
Titolo originale: Where the road takes me
Autrice: Jay McLean
Traduttrice: Anita Taroni
Editore: Fabbri
Anno: 2015
Pagine: 336

Chloe e Blake si incontrano, anzi, si scontrano, per caso, una notte. Lui sta fuggendo dalla solitudine e dai propri pensieri. Lei da un tipo che non sembra avere buone intenzioni. Blake la salva e da subito si sente attratto da questa ragazza strana, affamata di vita ma abituata a tenere chiunque a distanza. Eppure, quando sei giovane dovresti afferrare tutto quello che il destino ti offre. Correre incontro al domani, bruciare tappe e traguardi, ubriacarti di emozioni e sogni a occhi aperti. Scoprire e sperimentare ogni cosa che ti circonda, o che hai anche solo sentito nominare. Senza mai fermarti, senza mai smettere di sperare, di desiderare, di crederci… Ma c’è un motivo per cui Chloe non permette a nessuno di avvicinarsi: sulla sua vita c’è un’ombra, una malattia che non lascia scampo. E lei, quando se ne andrà, vuole farlo in punta di piedi, per non ferire nessuno… Il giorno in cui incontra Blake non ha la minima idea che quella sarà la loro svolta, l’attimo capace di sconvolgere le loro esistenze e ribaltare le loro prospettive, per sempre. A mano a mano che lo conosce, però, non riesce più a fare a meno di lui. Per Chloe è il momento di trovare la risposta a una domanda pesantissima: esiste un amore capace di dare senso al dolore più grande?

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«Abby, io non so niente di te. E l’hai voluto tu, ricordi? Se ti va di darmi qualche indizio su quel tipo, comincia pure.» IncrociaiTr le braccia. «Sto aspettando.»
Lei mi scrutò e riconobbi l’accenno di un ghigno. Non riuscii a trattenere un sorriso. «Sei uno stronzo.»
«E tu sei carina quando ti arrabbi.»
Sgranò gli occhi e arrossì. «Sei stronzo comunque.» Mi tirò un pugno sul petto e le sfuggì un gemito. «Ehi, sei muscoloso come Superman.»
«Quindi tu sei la mia kryptonite?»
Scoppiò a ridere. Con un lampo negli occhi ribatté: «Può darsi.» Fu quello il momento in cui qualcosa cambiò. Uno scatto. Come se qualcuno avesse sostituito il velo grigio che avevo davanti con uno colorato. Come se vedessi le cose sotto una luce diversa, da una vita diversa. Ero troppo nervoso per parlare. Forse era davvero la mia kryptonite.
Mi guidò in una parte della città di cui conoscevo l’esistenza ma in cui non ero mai stato. Le case erano più piccole, e non così ben tenute come dov’ero cresciuto io.
«Arrivati» annunciò, indicando un’abitazione sulla sinistra. «Spegni le luci.»
Obbedii e spensi anche il motore. Lei si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore. Osservava la casa di sbieco. «Che cosa succede, Abby? Hai infranto il coprifuoco, oppure…?»
«Oppure.»
Avvertii un nodo allo stomaco. «Hai paura di rientrare?» le chiesi. Diventò improvvisamente seria. Ecco di nuovo quell’istinto di protezione. «Qualcuno potrebbe farti del male?» Stavo già aprendo la portiera. «Guarda che gli spacco la faccia.» Non pensai nemmeno per un attimo alle possibili conseguenze. Ero sul punto di scendere dalla macchina, ma lei mi prese per un braccio.
«Nessuno mi fa del male, giuro.» Si sforzò di non sorridere. «È che ci sono dei bambini e non voglio svegliargli, altrimenti gli rovinerò la giornata…»
«Oh.» Mi sentii un idiota. Lei dovette accorgersene, perché subito aggiunse: «Sei molto gentile a volermi proteggere, comunque. Grazie.»
Stavo per ribattere che era giusto e che non stavo facendo un granché, però la sensazione della sua mano che mi accarezzava il braccio mi ricacciò le parole in gola. Ora eravamo palmo contro palmo. Fissai le nostre mani trattenendo il fiato, in attesa della sua mossa successiva. Appena le nostre dita si intrecciarono, espirai con una forza tale da farmi battere la nuca sul poggiatesta. Mi voltai verso di lei e ci guardammo negli occhi.
«Se me l’avessi detto prima, saremmo potuti restare in giro un altro po’. Non c’era bisogno che ti portassi a casa subito.»
Scrollò le spalle. «Credevo che avessi da fare. Non volevo rubarti troppo tempo.»
Le strinsi la mano. «Mi accompagni alla porta?»
Sorrisi. «Certo.»
Non saprei spiegare come successe ma, mentre raggiungevamo l’ingresso, ci eravamo cercati in silenzio, avevamo intrecciato le dita come in macchina. Abby si sedette su un dondolo in cortile, e io la seguii. Scacciai il pensiero di Hannah. «Dobbiamo fare piano» sussurrò. Annuii e la tirai a me, il più vicino possibile. Lei esitò per un momento, poi cedette. Le misi un braccio intorno alle spalle. Non pensavo, agivo e basta. «Hai fratelli o sorelle più piccoli?» chiesi, puntando i piedi a terra per darmi la spinta. Il dondolo oscillava avanti e indietro intanto che studiavo l’abitazione di legno a due piani. Era più cadente delle altre accanto, aveva le grondaie rotte e le persiane rovinate. Le serviva una bella mano di vernice e l’erba del giardino non veniva tagliata da parecchio. «Una specie» rispose. «Questa è una casa-famiglia, Blake.»
«Oh. Quindi tu sei…»
«In affido?» Scosse la testa. «No. O meglio, non più. Ma sono delle bravissime persone, e mi hanno permesso di restare finché…» Si interruppe le sfuggì un grugnito incredulo. «Niente domande, ricordi?»
Sospirai. «Non credi che ormai siamo andati oltre? Siamo seduti nel tuo giardino, ti sto abbracciando e ci teniamo per mano. Abbiamo passeggiato e fatto colazione insieme. Non significa proprio niente per te?»
Abby si liberò dal mio abbraccio, sollevò le gambe sul dondolo e si strinse le ginocchia. Abbassò gli occhi e chiese: «Cosa direbbe la tua ragazza se sapesse che sei qui?»
«Onestamente? Immagino che non le importerebbe. A meno che qualcuno non ci vedesse e le rovinasse la reputazione.»
Era vero. Il rapporto tra me e Hannah era quanto meno instabile: io  non l’amavo e pensavo che fosse reciproco. Secondo me era una messinscena. Non ne parlavamo mai, non affrontavamo mai l’argomento. Non sapevo come fossimo finiti in quella situazione, eppure per qualche motivo non ci eravamo mai preoccupati di cambiare le cose. «Ne dubito.»
«Dubita pure, se vuoi, ma non è una bugia.»
«Meglio se vai, ora» disse, evitando il mio sguardo. Il nodo che avevo sentito nello stomaco si fece più stretto. Non volevo andarmene. Non ancora. E quindi mi trasformai nel personaggio che ero capace di interpretare meglio: lo stronzo.
«Adesso sei incazzata con me? Quand’è che hai scoperto che avevo la ragazza? Quando ti ho dato le sue infradito? Forse mi sbaglio, ma è successo prima che mi prendessi la mano in macchina. Prima che mi invitassi ad accompagnarti alla porta. Prima che decidessi di sederti qui e che mi lasciassi avvicinare così tanto a te, no? Perché ti sei comportata in questo modo, se sapevi già che avevo la ragazza e per te era un problema?»
Lei alzò la testa, aveva un’espressione intensa. Incurvò le spalle e sussurrò: «Per una sera volevo…» Stava parlando da sola. Poi ripeté la frase, questa volta guardando me: «Per una sera volevo scordare chi sono, Blake.» Sfregò la guancia sul braccio. Stava piangendo. «La persona contro cui ti sei scontrato stasera non sono io. Volevo scomparire e provare qualcosa di diverso, capisci?»
Scosse il capo. «Ho fatto una stupidaggine.»
«Okay» risposi. «Volevi essere qualcun altro per una sera. Non c’è niente di male. A meno che tu non stia fuggendo da una realtà che non si può cambiare, perché altrimenti sarai costretta a farlo per tutta la vita. E tu non lo desideri, non puoi voler scappare in continuazione.»
Abby sgranò gli occhi e spalancò la bocca. «Wow…» mormorò con un filo di voce.
«Che c’è?»
«Non sei come mi aspettavo.»
«Ci conosciamo da quattro ore e già avevi delle aspettative su di me?»
Tirò giù le gambe dal dondolo. «Blake, io…» (…)
«Abby…» dissi con cautela. «Che cosa c’è? Perché stasera volevi dimenticare chi sei?»
«È l’anniversario della morte di mia madre.» Ora mi fissava. «Ed è stata una giornata orribile. Uno di quei giorni in cui cerco di non pensare a nulla.» Le si ruppe la voce, scese una lacrima. Fece per asciugarla, ma arrivai prima io. Non avrei più voluto spostare la mano dalla sua guancia. Lei cercò il mio sguardo, sperando di trovare una spiegazione a quel gesto. «Credi che lei volesse questo?»
Tirò su con il naso. «Cosa?»
«Tua madre sarebbe contenta di sapere che provi a dimenticarla, anche solo per un giorno? Non ti conosco, però mi sembra che tu sia venuta su parecchio bene… Se è anche merito suo, allora forse dovresti ringraziarla, invece di tentare di cancellarla.»
A quel punto Abby si abbandonò ai singhiozzi.
«Scusami» dissi nel tentativo di confortarla, ma le mie parole la fecero piangere ancora di più. «Scusami» ripetei. Lei si tirò indietro; le lacrime le rigavano le guance. «Da dove sei saltato fuori?» Non era una domanda, era più un pensiero ad alta voce. Sfregò il naso contro il mio. E accadde. Il bacio.


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