Martedì e non ho tempo per postare una top ten come avrei voluto. Ho tempo però di lasciarvi un teaser da un libro che sto leggendo lentamente, così lentamente che non mi riconosco ma solamente perché lo sto adorando in una maniera insospettabile – nonostante il pessimo titolo italiano che neanche inizia a rendere quanto invece “splintered” in inglese significa: letteralmente, “frantumato”, “scisso”; per una storia in bilico tra due mondi era più che azzeccato, non pensate? Ma le ragioni di marketing ci dicono che il romance vende di più e ci accontentiamo: per quel che mi riguarda, mi basta averlo, sul titolo passo sopra senza indugi. Ma bando alle ciance, vi auguro una splendida giornata e una buona lettura, nel Paese delle meraviglie!
Titolo: Il mio splendido migliore amico
Titolo originale: Splintered
Serie: Splintered
Autrice: A.G. Howard
Traduttrice: Francesca Barbanera
Editore: Newton Compton
Anno: 2015
Pagine: 406
Alyssa Gardner riesce a sentire i sussurri dei fiori e degli insetti. Peccato che per lo stesso dono sua madre sia finita in un ospedale psichiatrico. Questa maledizione affligge la famiglia di Alyssa fin dai tempi della sua antenata Alice Liddell, colei che ha ispirato a Lewis Carroll il suo “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Chissà, forse anche Alyssa è pazza, ma niente sembra ancora compromesso, almeno per ora, almeno fin quando riuscirà a ignorare quei sussurri. Quando la malattia mentale della madre peggiora improvvisamente, però, Alyssa scopre che quello che lei pensava fosse solo finzione è un’incredibile verità: il Paese delle Meraviglie esiste davvero, è molto più oscuro di come l’abbia dipinto Carroll e quasi tutti i personaggi sono in realtà perfidi e mostruosi. Per sopravvivere e per salvare sua madre da un crudele destino che non merita, Alyssa dovrà rimediare ai guai provocati da Alice e superare una serie di prove: prosciugare un oceano di lacrime, risvegliare i partecipanti a un tè soporifero, domare un feroce Serpente. Di chi potrà fidarsi? Di Jeb, il suo migliore amico, di cui è segretamente innamorata? Oppure dell’ambiguo e attraente Morpheus, la sua guida nel Paese delle Meraviglie?
«Una torta d’ingrandimento! Dove avete trovato questo tesoro? Non ne ho mai vista una in funzione in vita mia. Sono state dichiarate fuori legge dopo la vicenda di Alice. Non importa, non importa…» Apre di nuovo il medaglione che porta appeso al collo. La nuova vongola si dimena selvaggiamente.
«Da’ qua», dice. «Se non funziona, sventro il tuo amico mortale e do le sue budella in pasto ai pesci.» La bava gli cola lungo le zanne e riempie gli intagli di lunghi fili scintillanti.
«Oh, funzionerà, non temere», risponde Jeb, facendo scivolare la torta lungo lo scafo. «Mi ci giocherei la testa.»
«Lo hai appena fatto.» Il tricheco mutante si piega con un grugnito affaticato per raccogliere la torta. Ne spezza un angolino e si appresta a infilarlo nella fessura della vongola (…)
Nel giro di pochi secondi, la vongola comincia a tremare forte e così tutta la barca.
«Ora!» Jeb si tuffa in mare, tenendomi per mano. La punta di un tentacolo mi colpisce le gambe, ma poi l’acqua tiepida ci avvolge e sprofondiamo sotto la superficie. Jeb nuota davanti a me e i suoi capelli fluttuano come alghe negli abissi azzurri. Mi trascina con sé, tenendomi per un polso. Io mi do slancio per tornare su. I miei abiti sono pesanti e mi rendono difficile muovermi in acqua.
Emergiamo dall’oceano prendendo boccate d’aria abbondanti e rimaniamo fermi lì per vedere cosa sta succedendo sulla barca. La vongola, grande quanto un ombretto, aumenta di volume e raggiunge le dimensioni di un cassonetto dei rifiuti.
L’octobenus si rende conto di aver commesso un terribile errore e cerca di lasciare la barca in un turbinio stranamente aggraziato di tentacoli, grasso e pinne, ma è troppo tardi. Il guscio gigante si apre e un’appendice a forma di accetta salta fuori… è grande e potente come un’anaconda. Si avvolge intorno all’octobenus e se lo infila in bocca, risucchiando i tentacoli come se fossero spaghetti prima di rinchiudersi.
La barca cede e si spacca. Nel giro di pochi istanti, la super vongola si inabissa nell’oceano, lasciando dietro di sé solo una scia di spuma e dei detriti. Le onde sciabordano intorno ai rottami della barca, un paesaggio spaventosamente sereno dopo la scena violenta a cui abbiamo appena assistito.
Jeb tiene il mio polso e lo zaino con la stessa mano mentre con l’altro braccio cerca di nuotare per raggiungere la spiaggia nera.
All’improvviso qualcosa mi trascina a fondo.
Agito le gambe fino a farmi venire i crampi, tentando disperatamente di restare a galla. È tutto inutile. Alla fine, lascio Jeb per paura di trascinarlo a fondo con me.
Sott’acqua cerco di capire cos’è che mi sta tirando giù, terrorizzata dall’idea che ci sia un altro mostro marino, ma non c’è proprio un bel niente lì. Mi sembra di avere un peso legato alla vita, ma sto affondando troppo velocemente per riuscire a capire cosa sia. Dimeno convulsamente braccia e gambe nel tentativo di opporre resistenza alla forza che mi sta facendo sprofondare. I miei polmoni hanno un bisogno disperato di ossigeno.
Di colpo compare Jeb sopra di me. Dietro di lui, anche lo zaino affonda negli abissi scuri dell’oceano. Mi rimetto subito in movimento, annaspando nell’acqua. Jeb cerca di riportarmi su, afferrandomi sotto le ascelle, ma io mi scosto bruscamente, lottando contro di lui, contro di me, contro la paura…
Lui mi afferra ugualmente, con un’espressione risoluta sul volto. Si rifiuta di arrendersi e questo mi spaventa più di ogni altra cosa. Scuoto la testa.
“Pensa a salvarti”, cerco di dirgli con lo sguardo, ma lui è troppo testardo per darmi ascolto.
Vorrei chiedergli scusa per averlo trascinato in questa follia, ma dalla bocca mi esce solo una nuvola di bolle che volteggia tra di noi.
Un dolore intenso e bruciante mi schiaccia il petto. Mi dibatto nell’acqua come se in qualche modo potessi aprirmi un varco o farla sparire. Le mie lacrime si mischiano a quelle di Alice e i miei pensieri cominciano a confondersi. Jeb sta ancora provando a riportarmi su, ma è tutto inutile. Continuiamo ad affondare.
Proprio quando sto per arrendermi all’incoscienza, mi viene in mente che il peso potrebbe trovarsi nella tasca della gonna. Uso le ultime energie per tirare fuori la spugna che ho raccolto nella tana del coniglio.
La spugna, che prima era grande quanto un cubetto di formaggio, ora ha le dimensioni di una pallina da golf e sta crescendo sempre più. Scivola giù fino al fondale dell’oceano, assorbendo l’acqua e scatenando un mulinello gigante.
Sono libera.
Tenendoci stretti l’uno all’altra, io e Jeb emergiamo giusto il tempo necessario per riempirci i polmoni di aria prima che il vortice ci catturi. La spugna ora è grande quanto un pompelmo e, sotto di noi, riesco perfettamente a scorgere il fondale dell’oceano.
Grido e mi aggrappo con tutte le forze a Jeb.
Chiudo gli occhi e trattengo il respiro proprio mentre andiamo a sbattere contro qualcosa di solido.
«Al», mi chiama Jeb e solo ora mi accorgo che posso ancora respirare.
Immetto avidamente aria nei polmoni, apro gli occhi e batto le palpebre per liberarmi delle gocce d’acqua impigliate sulle ciglia. L’oceano è scomparso. Ci ritroviamo in mezzo a una distesa di vegetazione marina e mucchi di sabbia bagnata. Qua e là ci sono delle pozze d’acqua che riflettono i raggi del sole. In lontananza scorgo il nostro zaino. Le sabbie nere della spiaggia incombono su di noi per metri, come una scogliera altissima. Non riusciremo mai a scalare una parete del genere.
Pochi metri più in là, tra i detriti, c’è la vongola gigante e, accanto a lei, giace un baule semidistrutto e ricoperto di muschio. La vongola schiocca le labbra insanguinate. Ne deduco che, alla fine, l’octobenus e il suo amico artigiano si sono rincontrati.
Si solleva una brezza che sa di pesce e di sale. Cerco la spugna con lo sguardo, certa che ormai sia diventata una montagna, invece eccola qui, vicino ai miei stivali fradici, grande quanto una palla da basket. La raccolgo. Chi mai direbbe che contiene un oceano intero?
Jeb mi aiuta ad alzarmi e io lascio cadere la spugna, che piomba a terra con un tonfo.
Anche se sono debole e malridotta, vengo invasa da un gran senso di soddisfazione. «Ce l’abbiamo fatta», mormoro quasi senza capire cosa sto dicendo. «Abbiamo prosciugato l’oceano, proprio come ci hanno chiesto i fiori.»
«Tu ce l’hai fatta», ribatte lui, scostandomi i capelli dalla fronte. «E sei quasi annegata per riuscirci.» Prima che io possa rispondere, le sue labbra morbide e calde mi baciano la fronte, la tempia e la guancia. A ogni bacio, sento il piercing che mi sfiora la pelle. Jeb si ferma con la bocca all’altezza della mia mascella e mi attira a sé per abbracciarmi, premendomi il naso contro il collo. «Non fare mai più una cosa del genere.»
Anche se siamo bagnati fradici, i nostri corpi emanano ondate di calore quasi tangibili. Faccio scorrere le mani guantate tra i suoi capelli. «Sei venuto a salvarmi.»
Lui si stringe ancora di più a me, scatenando in me una potente scarica di emozione. «Verrò sempre a salvarti, Al.»
Un live tump tump nel petto mi suggerisce di andarci piano, riportandomi alla mente Taelor e il pensiero che Jeb ha fatto di tutto per andare a Londra senza di me e stare solo con lei. Nonostante questo, l’adrenalina aumenta ancora di più. Gli sfioro l’orecchio con le labbra, assaporando le ultime lacrime di Alice che gli bagnano i lobi. «Grazie.»
Lui mi stringe tra le braccia e affonda il naso tra i miei capelli, come se si fosse perso tra le ciocche. I cuori, tra noi, battono forte. Comincio a fremere per l’emozione, tanto che le gambe mi reggono a stento.
«Jeb», sussurro. Lui bisbiglia qualcosa di incomprensibile mentre io gli appoggio le mani tremanti sulle spalle.
Quel gesto gli strappa un mugolio. Le sue dita mi afferrano i capelli, poi lo vedo ritrarsi un po’ per guardarmi con i suoi occhi intensi. Sta per chinarsi sulla mia bocca quando un frastuono improvviso ci interrompe.