Buona sera, amici! Come va la state passando? Siete ancora spiaggiati sotto l’ombrellone a godervi il meritato riposo o siete tornati alla normalità? Qui le ferie non sono mai iniziate e purtroppo lo studio non è mai andato in vacanza, quindi c’è poco di cui esser grati dell’arrivo di questo ventolino di fine estate che rende il caldo più sopportabile. Parlando di libri… non sto leggendo, in realtà, ma cerco di tenere aggiornato quest’angolino con le rubriche, in attesa di aver tempo a fine settembre, per poter tornare stabilmente a leggere e recensire. Quando avrò tempo e non mi sentirò in colpa! Nel frattempo, un piccolo primo incontro da uno dei libri che più ho atteso quest’anno e che è uscito (in ebook) giusto ieri!
Chi di teaser ferisce è una rubrica inventata dal blog Should be reading col titolo teaser Tuesday ma che io ho pensato di rendere casuale. Posterò quindi una citazione del tutto spoiler-free dal romanzo che sto leggendo e vi invito a fare lo stesso per scambiarci letture e invogliarci a prendere in considerazione nuovi libri!
Resto sola nell’ascensore, che si ferma a ogni piano finché non raggiunge il diciottesimo. Quando esco, tiro fuori il cellulare dalla tasca e apro la conversazione con Corbin. Non ricordo il numero del suo appartamento. Dovrebbe essere il 1816 o il 1814.
O forse è il 1826?
Mi fermo davanti al 1814. C’è un tizio svenuto sul pavimento del corridoio e appoggiato alla porta del 1816.
Ti prego, fa’ che non sia il 1816.
Trovo il messaggio e faccio una smorfia. È il 1816.
Ovvio.
Mi avvicino lentamente alla porta sperando di non svegliarlo. È a gambe larghe ed è appoggiato con la schiena alla porta di Corbin. Ha il mento contro il petto e sta russando.
«Scusi» dico quasi sussurrando.
Non si muove.
Alzo una gamba e gli do una piccola spinta a una spalla con il piede. «Devo entrare in questo appartamento.»
Il tizio si desta, apre lentamente gli occhi e si ritrova faccia a faccia con le mie gambe.
Quando il suo sguardo si posa sulle mie ginocchia, aggrotta la fronte, si china lentamente in avanti con la faccia perplessa, alza una mano e dà un colpetto con le dita al mio ginocchio, come se non ne avesse mai visto uno. Dopodiché lascia cadere la mano, chiude gli occhi e si addormenta di nuovo contro la porta.
Fantastico.
Corbin non tornerà prima di domani, perciò faccio il suo numero per vedere se questo tipo sia qualcuno di cui dovrei preoccuparmi.
«Tate?» mi chiede, rispondendo al telefono senza nemmeno dire ‘pronto’.
«Sì» replico io. «Sono arrivata sana e salva, ma non posso entrare perché c’è un tizio sbronzo svenuto davanti alla tua porta. Suggerimenti?»
«Diciotto sedici?» chiede. «Sei sicura di essere all’appartamento giusto?»
«Sicura.»
«Sicura che sia ubriaco?»
«Sicura.»
«Strano» commenta lui. «Com’è vestito?»
«Perché vuoi sapere com’è vestito?»
«Se porta un’uniforme da pilota, probabilmente vive nel palazzo. Il complesso è in convenzione con la nostra compagnia aerea.»
Il tizio non porta nessuna uniforme, ma non posso fare a meno di notare che i jeans e la t-shirt gli stanno davvero bene.
«Niente uniforme» gli dico.
«Puoi superarlo senza svegliarlo?»
«Dovrei spostarlo. Se aprissi la porta, cadrebbe all’interno.»
Corbin riflette per qualche istante in silenzio. «Va’ sotto e dillo a Cap» dice alla fine. «Gli ho detto che saresti arrivata. Può aspettare con te finché non sarai all’interno.»
Sospiro. Perché dopo aver guidato per sei ore, l’ultima cosa che mi va di fare è scendere di nuovo al piano terra. E sospiro anche perché Cap probabilmente è l’ultima persona che potrebbe aiutarmi in questa situazione.
«Resta solo al telefono con me mentre entro.»
Il mio piano mi piace di più. Infilo il telefono tra l’orecchio e la spalla e rovisto nella borsa in cerca delle chiavi che mi ha mandato Corbin. Le inserisco nella serratura e faccio per aprire la porta, ma il tizio ubriaco inizia a cadere all’interno a ogni centimetro di apertura. Prorompe in una specie di lamento, ma ha sempre gli occhi chiusi.
«Peccato sia sbronzo» dico a Corbin. «Non è per niente male.»
«Tate, vedi di entrare in quel cavolo di appartamento e chiudere a chiave, così posso riagganciare.»
Alzo gli occhi al cielo: è lo stesso prepotente di sempre. Sapevo che andare a vivere con mio fratello non avrebbe fatto bene al nostro rapporto, considerando il comportamento paterno che ha sempre avuto con me quando eravamo più giovani; ma non ho avuto scelta: non avevo tempo di trovarmi un lavoro e una casa, e di sistemarmi per conto mio prima dell’inizio delle lezioni.
In ogni caso, spero che le cose tra noi possano essere diverse adesso. Corbin ha venticinque anni e io ventitré, e sarebbe un segno di forte immaturità se non riuscissimo ad andare d’accordo più di quando eravamo ragazzini.
Immagino che dipenderà soprattutto da Corbin e da quanto è cambiato dall’ultima volta che abbiamo vissuto insieme. Aveva un problema con tutti quelli con cui uscivo, con tutti i miei amici e con tutte le mie scelte – perfino riguardo a quale college frequentare. Non che abbia mai preso in considerazione la sua opinione. Il tempo e la distanza sembrano avergli fatto allentare un po’ la presa, ma andare a vivere insieme potrebbe essere il test supremo per la pazienza di entrambi.
Faccio per mettere la borsa a tracolla, ma s’impiglia alla maniglia della valigia e, mentre con la mano sinistra tengo stretto il pomello – impedendo alla porta di aprirsi e al tizio di cadere completamente all’interno dell’appartamento –, decido di lasciarla cadere a terra. Poi, con il piede, spingo il tizio ubriaco verso il centro della porta.
Non si muove.
«Corbin, è troppo pesante. Dovrò attaccare e usare tutte e due le mani.»
«No, non attaccare. Metti il telefono in tasca, ma non attaccare.»
Abbasso lo sguardo sulla maglia extralarge e i leggings che porto. «Niente tasche. Ti toccherà il reggiseno.»
Corbin prorompe in una specie di verso disgustato, e io allontano il cellulare dall’orecchio e lo infilo nel reggiseno. Tolgo le chiavi dalla serratura e le lancio verso la borsa, ma manco il bersaglio e finiscono a terra. Poi mi piego e afferro il tizio ubriaco per cercare di toglierlo di mezzo.
«Okay, amico,» gli dico, cercando con tutte le forze di spingerlo via dalla porta «mi spiace interrompere il tuo pisolino, ma devo entrare qui dentro.»
In qualche modo riesco ad appoggiarlo allo stipite impedendogli di cadere all’interno dell’appartamento; dopodiché apro la porta e mi giro per riprendere le mie cose.
E qualcosa di caldo si avvolge alla mia caviglia.
Mi blocco.
Guardo in basso.
«Lasciami!» urlo calciando via la mano che mi ha afferrato la caviglia. La presa è così forte che credo mi verrà un livido. Il tizio ubriaco mi sta guardando, e quando provo a sottrarmi alla sua stretta mi ritrovo a cadere all’indietro nell’appartamento.
«Devo entrare» borbotta lui non appena il mio didietro incontra il pavimento. E quando prova ad aprire la porta con l’altra mano, di colpo vengo assalita dal panico. Tiro le gambe dentro casa – insieme alla sua mano – e con quella libera scalcio, chiudendogli il polso tra la porta e lo stipite.
«Merda!» grida. Sta cercando di ritrarre la mano, ma il mio piede è ancora premuto contro la porta. Così allento appena la pressione fino a permettergli di riprendersi la mano, e chiudo la porta immediatamente con un calcio. Dopodiché salto in piedi, faccio scattare la serratura e metto il chiavistello il più velocemente possibile.
Man mano che il mio cuore rallenta, inizia a gridare.
Il mio cuore sta letteralmente gridando contro di me.
Con una profonda voce maschile.
Sembra che stia gridando ‘Tate! Tate!’.
Corbin.
Abbasso immediatamente lo sguardo sul mio petto, tiro fuori il cellulare dal reggiseno e me lo porto all’orecchio.
«Tate! Rispondimi!»
Con una smorfia allontano l’apparecchio di parecchi centimetri. «Sto bene» gli dico col fiato corto. «Sono dentro. Ho chiuso a chiave la porta.»
«Cristo santo!» esclama Corbin, sollevato. «Mi hai spaventato a morte. Che diavolo è successo?»
«Stava provando a entrare, ma ho chiuso la porta.» Accendo la luce del salone e faccio a malapena tre passi prima di bloccarmi di colpo.
Ottimo lavoro, Tate.
Quando mi rendo conto di cos’ho fatto, mi giro lentamente verso la porta.
«Ehm, Corbin?» Faccio una pausa. «Potrei aver lasciato fuori delle cose che mi servono. Andrei a riprenderle, ma per qualche motivo il tizio ubriaco pensa di dover entrare nel tuo appartamento e non ho nessuna intenzione di riaprire. Hai suggerimenti?»
Corbin resta in silenzio per qualche secondo. «Cos’hai lasciato in corridoio?»
Non vorrei rispondergli, ma lo faccio. «La valigia.»
«Cristo, Tate» borbotta.
«E… la borsa.»
«Perché diavolo la tua borsa è fuori?»
«E potrei aver lasciato in corridoio anche le chiavi del tuo appartamento.»
A questa non mi risponde nemmeno, si limita a gemere. «Chiamo Miles e vedo se è già rientrato. Dammi due minuti.»
«Aspetta, chi è Miles?»
«Vive dall’altra parte del corridoio. Qualsiasi cosa accada, non aprire la porta finché non ti richiamo.»
Corbin riaggancia e io mi appoggio alla porta d’ingresso.
Vivo a San Francisco da mezz’ora e gli sto già rompendo le palle. Ovvio. Sarò fortunata se mi lascerà restare finché non avrò trovato un lavoro. Spero che non ci voglia molto, considerando che ho già fatto domanda per tre posti da infermiera professionista all’ospedale più vicino. Vorrà dire lavorare di notte, nei week-end, o entrambe le cose, ma dovrò accontentarmi se voglio evitare di intaccare i miei risparmi ora che sono tornata all’università.
Mi squilla il cellulare. Passo il dito sullo schermo e rispondo. «Ehi.»
«Tate?»
«Eh sì» rispondo io, chiedendomi come mai controlli sempre per vedere se sono io. Lui ha chiamato me. Chi altro dovrebbe rispondere con la mia stessa identica voce?
«Ho rintracciato Miles.»
«Bene. Può aiutarmi a recuperare le mie cose?»
«Non esattamente» risponde Corbin. «Anzi, dovresti farmi un enorme favore.»
La mia testa ricade contro la porta. Ho la netta sensazione che i prossimi mesi saranno pieni di favori spiacevoli, visto che sa che mi sta facendo un grosso piacere lasciandomi vivere qui. I piatti? Fatto. Il bucato? Fatto. La spesa? Fatto.
«Che ti serve?» gli chiedo.
«Miles ha tipo bisogno del tuo aiuto.»
«Il vicino?» Mi interrompo non appena capisco la situazione. «Corbin, ti prego, non dirmi che il tizio che hai chiamato per proteggermi dal tizio ubriaco è il tizio ubriaco.»
Corbin sospira. «Dovresti aprire la porta e farlo entrare. Lascialo dormire sul divano. Sarò lì domani mattina al più presto. Quando si sarà ripreso, si renderà conto di dove si trova e se ne andrà dritto a casa sua.»
Scuoto la testa. «In che razza di palazzo vivi? Devo prepararmi a essere palpeggiata da gente ubriaca ogni volta che tornerò a casa?»
Lunga pausa. «Ti ha palpeggiata?»
«Palpeggiata forse è un po’ troppo. Però mi ha presa per una caviglia.»
Corbin sospira stancamente. «Fallo per me. Chiamami quando hai portato dentro lui e la tua roba.»
«Okay» rispondo con un grugnito, sentendo la preoccupazione nella sua voce.
Attacco e apro la porta. Il tizio ubriaco cade su una spalla e il cellulare che aveva in mano gli sfugge e finisce a terra vicino alla sua testa. Lo giro di schiena e lo guardo. Lui apre appena gli occhi e tenta di guardarmi, ma non riesce a tenere su le palpebre.
«Non sei Corbin» borbotta.
«No, non sono Corbin. Ma sono la tua nuova vicina, e a occhio e croce direi che mi devi almeno cinquanta tazze di zucchero.»
Titolo originale: Ugly love
Autrice: Colleen Hoover
Traduttrice: Laura Liucci
Editore: Leggereditore
Pagine: 296
Anno: 2015
Quando Tate Collins trova il pilota Miles Archer svenuto davanti alla sua porta di casa, non è decisamente amore a prima vista. Non si considerano neanche amici. Ciò che loro hanno, però, è un’innegabile reciproca attrazione. Lui non cerca l’amore e lei non ha tempo per una relazione, ma la chimica tra loro non può essere ignorata. Una volta messi in chiaro i propri desideri, i due si rendono conto di aver trovato un accordo, almeno finché Tate rispetterà due semplici regole: mai fare domande sul passato e non aspettarsi un futuro. Tate cerca di convincersi che va tutto bene, ma presto si rende conto che è più difficile di quanto pensasse. Sarà in grado di dire di no a quel sexy pilota che abita proprio accanto a lei?