Magazine Diario personale

Chi disprezza una determinata tecnologia…

Da Mcnab75

fornace

Chi disprezza una determinata tecnologia è perché non sa usarla.
Oppure perché crede di poterne fare a meno, quindi non se ne interessa, né si informa.
Fa anzi il brillante, il cinico, ogni volta che se ne parla, ostentando l’assoluta sicurezza di non avere bisogno di quella “novità” (parola solitamente pronunciata con un certo livore), e che comunque lui ne ha fatto a meno per X anni, e che può andare avanti così per altri X+1.
Che poi magari è anche vero, questo io non lo sto a sindacare, ma che non è comunque una considerazione valida per bocciare il progresso tecnologico o l’evoluzione umana.
Non vi sto dicendo nulla di nuovo, me ne rendo conto.
E’ che là fuori il brusio continua a dare fastidio chi, come me, cerca semplicemente di rimanere informato e al passo coi tempi.

Non molto tempo fa ho assistito a un scambio di battute tra due anziani.
Il primo, ex ingegnere, negli anni ’60 ha girato mezzo mondo per istallare caldaie industriali e altri impianti. Vale la pena ricordare che erano gli anni in cui 9 italiani su 10 sapevano a malapena che il resto del mondo esisteva. Era una cosa percepita confusamente dai film e dai primi spettacoli serali in TV. Nulla più.
Insomma, questo anziano stava raccontando a me e altre persone le sue avventure dell’epoca, in giro per gli States a fare questi lavori, con molta abnegazione e dignità, a compensare la scarsa conoscenza dell’inglese e di molte altre cose (usi e leggi locali etc). Dopo una mezz’ora abbondante di aneddoti, che personalmente ho trovato quasi poetici, salta su l’altro anziano del duo che commenta: “Dì la verità, ti è andata bene a trovare un posto così, piuttosto che fare un lavoro vero!

Eh già.
Siamo alle solite, non tiriamola lunga. Per molta gente il lavoro intellettuale non è vero lavoro. Non si fatica, anzi, magari si viaggia, a spese dell’azienda, si fa la bella vita, non ci si sporca e non s’impara, che ne so, a riparare una tapparella o a imbiancare.
Bello vedere che la concezione delle cose, in Italia, non è praticamente cambiata dagli anni ’50-’60 a oggi.
Ancora oggi conosco (e intendo dire personalmente) dei tizi, anche giovanissimi, che non ritengono vero lavoro tutto ciò che non comporta un’attività fisica più o meno stancante/devastante. Sì, ci sono anche dei trentenni che hanno questa brillante concezione del mondo. Fatevi un giro nella periferia veneta o bergamasca, per esempio… Entrate in un bar di provincia e dite che siete grafici pubblicitari, copywriter o che intendete trasformare il vostro blog in un lavoro.
Roba che l’Alabama degli anni ’20 vi sembrerà subito il paradiso del progressismo (come dice un mio amico).

Alabama

Sarebbe interessante spiegare a questa gente che l’iPhone che hanno comprato per guardarsi le partite di calcio o l’iPad che usano per giocare a Solitario sono stati sviluppati da persone che fanno quei lavori che tanto disprezzano. Che i siti da cui si scaricano i porno sono progettati dalle teste d’uovo che tanto disprezzano. E che girano su quei cosi, i computer, di cui accusano tutte le disgrazie del mondo moderno.
Così, per dire, eh.
Ma il punto è che oramai non ci si ferma più a pensare, si parla a ruota libera, per dare aria alla bocca, con una forma di acredine crescente che nasce forse dal ventre molle del paese, dalla Crisi che ha imbarbarito gli animi. Eppure è proprio questa mancanza totale di guardare oltre, di riflettere e di rispettare il lavoro altrui, che rovina tutto. Un problema molto più a monte di ogni altra considerazione finanziaria ed economica, che mi guardo bene a fare.

Però, quando sento dire che se il mondo va a rotoli è per colpa dei computer, degli ebook o degli smartphone, mi vien voglia di fare come il dottor Manhattan e di emigrare su Marte. E no, non a bordo di una mongolfiera.

Dr.-Manhattan-thinking-on-Mars

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