Magazine Cinema
STOKER di Park Chan-wook USA, 2013 con Mia Wasikowska, MAtthew Goode, Nicole Kidman, Jackie Weaver, Alden Enreichreich, Dermot Mulroney
TRAMA
Al funerale di suo padre la solitaria e scontrosa adolescente India conosce uno zio di cui non conosceva nemmeno l'esistenza. Quest'ultimo si trasferisce a casa sua e seduce la madre. RECENSIONE Uno dei film più attesi dal sottoscritto, grazie al cast (che comprende una delle mie attuali attrici preferite, Mia Wasikowska e l'attrice che preferivo una decina d'anni fa, Nicole Kidman) e a un accattivate trailer che faceva ben sperare. Ma a parte le affascinanti atmosfere il film ha ben poco da offrire. L'astuta regia di Park Chan-wook riesce solo in parte a salvare la debole sceneggiatura di Wentworth Miller, l'attore di cui in questi giorni si è sentito parlare grazie al suo coming out e alla presa di posizione contro l'omofobo governo russo. Il problema del film è quello di tratteggiare una storia e dei personaggi inverosimili e incoerenti nonostante le premesse assai interessanti. La protagonista, una ragazza in cui si nasconde il seme della follia, è interpretata da Mia Wasikowska, sempre bravissima ma oramai abbonata a film mediocri che passano inosservati.
L'elegante Matthew Goode è poco credibile nei panni del folle, ma abbastanza glaciale da infondere qualche brivido. Poi c'è lei, Nicole Kidman, credibile nei panni di una casalinga ricca e depressa.
Vi sono anche due piccole partecipazioni, decisamente sprecate: l'ottima Jackie Weaver (Il lato positivo) e l'emergente Alden Enreichreich (Tetro, Segreti di famiglia), dal comportamento difficilmente etichettabile al di fuori della voce "schizofrenico".
Che il film voglia descrivere due protagonisti folli è accettabile, ma che pure i personaggi marginali si comportino in modo violento e incoerente è forse troppo.
Da promuovere pienamente ci sono solo le atmosfere, rese affascinanti grazie a un'azzeccata location e alle musiche di Clint Mansell, lo stesso de Il Cigno nero. Un importante contributo è fornito dal notevole lavoro al montaggio e alla fotografia: peccato che alla fine il tutto si risolva in un virtuosismo fine a se stesso, tra ridondanti rallenty e dettagli ricchi di simbolismi abusati e non necessari.
VOTO: 6-
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