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Chi era veramente Gesù?

Da Risveglioedizioni
Risveglio Edizioni, Libri, Spiritualità, Meditazione, Medicina, Cosmologia, Arte, Filosofia, Ufologia, Federico Bellini, Ambra Guerrucci, Osho, TV Chi era Gesù? Alla luce dei risultati della ricerca storica moderna, fondata sullo studio oggettivo di tutte le fonti disponibili, possiamo affermare che Gesù è stato un riformatore del Giudaismo, non un fondatore di nuove religioni, tantomeno del Cristianesimo, che si è andato configurando e sviluppando solo alcuni decenni dopo la sua morte...
Gesù era un rivoluzionario, più che un semplice riformatore, perché ribaltò completamente la mentalità dell'epoca: il Giudaismo era infatti una religione nazionalista, legalista e autoritaria, mentre l'insegnamento di Gesù era del tutto individuale, interiore, spirituale. Nel Giudaismo fare il bene era un dovere da compiere sotto la spinta di minacce anche fisiche, oltre che morali. Per Gesù fare del bene "fa bene" innanzitutto a chi lo fa. Il Gesù dei vangeli è più psicologo che predicatore religioso: non si preoccupa molto di ciò che avviene dopo la morte, ma parla sempre del Qui ed Ora e dello atteggiamento mentale della persona, indipendentemente dalle convinzioni religiose! Non a caso simpatizza per i samaritani, considerati eretici dai giudei osservanti. I cristiani dovrebbero leggere seriamente i vangeli per poi scoprire che Gesù non ha mai chiesto a nessuno di cambiare la propria religione, nemmeno ai pagani, semmai di mettere in discussione la propria mentalità, la propria vita, i propri obiettivi, i propri valori. I vangeli sono pieni di modelli anticonformisti. E' sempre l'altro, il diverso, l'eroe da imitare. Non è il sacerdote o il fariseo, non è il bravo osservante della legge, non è lo scrupoloso esecutore dei comandamenti a suscitare la simpatia di Gesù, che più volte ha manifestato di essere profondamente anticlericale e contro ogni esteriorità religiosa, vista sempre in sospetto di ipocrisia. Gesù sta sempre dalla parte di chi è oggetto di diffidenza se non di aperta discriminazione: i pubblicani, le prostitute, i poveri, i lebbrosi, i malati, i samaritani, persino gli invasori romani che, in quanto individui, sono comunque considerati meritevoli di ricevere quantomeno una parola di conforto. Gesù e il contesto religioso del suo tempo Ai tempi di Gesù la religione dei Giudei era essenzialmente legalista e giuridica, fatta di tradizioni e regole, osservanza di rituali e festività, adempimento letterale di comandamenti, innumerevoli divieti, prescrizioni inerenti i cibi puri e impuri, digiuni. Insomma si trattava di pratiche fondamentalmente esteriori che poco o nulla avevano a che fare con la sfera interiore degli individui, anzi, il concetto di individuo era quasi inesistente, schiacciato dall'obbligo di doversi sentire "popolo di Dio" in modo massificato e compatto. Gesù capovolse la prospettiva introducendo un elemento assolutamente nuovo: l'amore incondizionato per il prossimo e addirittura per i nemici diventava il basilare paradigma che sostituiva la cieca osservanza della Legge. L'insegnamento di Gesù di Nazareth trascendeva gli stessi confini confessionali giudaici per divenire messaggio universale, non strettamente religioso ma anche filosofico, etico, volto a risvegliare le coscienze ad un modo nuovo e diverso di vedere sé stessi e gli altri, la vita e la morte. Gesù era aperto anche a contributi culturali eterogenei rispetto alla stretta osservanza giudaica. Ciò è documentato dalle corrispondenze fra l'insegnamento di Gesù e quello degli Esseni, una comunità monastica molto particolare, vegetariana e pacifista, studiosa delle filosofie orientali (a questo proposito è interessante notare una certa somiglianza fra alcuni insegnamenti di Gesù e il Dharma buddhista). La divinizzazione di Gesù Se Gesù non fosse stato presentato in modo simile ad Eracle (Ercole) e a Mithra, cioè come un essere semi-divino, figlio di un Dio e di una terrestre, eroe vittorioso sul male dopo aver affrontato varie fatiche e prove, la diffusione della religione cristiana non avrebbe potuto avere quel successo popolare che invece ottenne, più fuori che dentro la Palestina, proprio perché essa era immediatamente riconoscibile e familiare per tutte le genti pagane. In mancanza del concetto postumo della "divinità" di Gesù, il Cristianesimo, o comunque lo si volesse chiamare, sarebbe rimasto ciò che era inizialmente, ovvero nient'altro che una sètta interna dell'ebraismo (ovvero la Sètta dei Nazirei, così chiamata anche negli Atti degli Apostoli - cap. 24) o si sarebbe estinto del tutto. Gesù si definiva un Rabbi, un Maestro, non un essere soprannaturale. E' vero che molti videro in lui il "Messia", ma nel contesto ebraico il Messia era un liberatore politico, e l'attesa del Messia in quei tempi era spasmodica proprio per via della occupazione romana. Per gli ebrei era intollerabile dipendere da uno Stato straniero, specie se pagano e idolatra come i Romani. Ad ogni "Messia" spettava, tra l'altro, il titolo di: "figlio di Dio", che nel contesto israelita era un titolo puramente simbolico, mentre nella cultura greca non poteva che essere percepito in modo metafisico e letterale, anche perché nella religione greca era consueto postulare l'esistenza di esseri semidivini "figli di un Dio" e di una umana (Eracle, Dioniso, ecc.). Le leggende sulla sua origine divina e sul presunto concepimento miracoloso sono molto tardive, essendo state elaborate solo quando il Cristianesimo cominciava a diffondersi al di fuori del contesto ebraico. Quando si leggono i vangeli va sempre tenuto presente che sono posteriori alle epistole di Paolo e alla sua zelante opera missionaria in Grecia. Per questo, quando sono stati scritti, si è cercato di raccontare i fatti in un modo facilmente comprensibile per chi apparteneva alla cultura ellenico-romana, tanto più che Gerusalemme era stata distrutta (nel 70 d.C.) e la nascente nuova religione non poteva più contare sulla sua prima sede (che gli apostoli avevano appunto fissato a Gerusalemme) ma doveva cercare di svilupparsi fra i pagani, ovvero nel territorio dell'Impero. Fu soprattutto san Paolo, "l'Apostolo delle genti", a intuire che per favorire la diffusione del Cristianesimo occorreva, paradossalmente, sostituire l'insegnamento di Gesù con il culto della sua persona, del suo corpo e del suo sangue, cosa ben comprensibile per le masse popolari pagane e quindi garantire un successo perlomeno numerico, se non qualitativo, alla nuova religione. Fu così che il maestro Gesù divenne "il Cristo", da adorare, da invocare, da utilizzare come protettore e mediatore nei confronti della severa divinità, finalmente placata dalla morte di Gesù, reinterpretata da san Paolo quale "sacrificio espiatorio" per le colpe dell'umanità. Perfino il nome con cui sarà conosciuto Gesù è un ibrido sincretismo: Gesù Cristo, ossia Joshua Cristòs, primo nome ebraico e secondo nome greco. Ma ciò è anche anacronistico, perché Gesù non parlava greco, e presumibilmente non sentì alcuno parlare in questa lingua. Il nome "Gesù Cristo" già allude all'idolatrizzazione pagana della sua figura. Già allora, come oggi, venivano compiute abilissime operazioni di "immagine" per scopi puramente propagandistici e per accattivarsi le simpatie dell'opinione pubblica. Gesù diventa "vittima espiatoria" Per i pagani di cultura greca e romana, ma anche per tutte le religioni primitive, le divinità erano interpretate come tendenzialmente ostili e vendicative, e dovevano essere pertanto "propiziate" da sacrifici di animali in modo che l'aggressività del dio fosse "saziata" e quindi "disinnescata", almeno temporaneamente. Dato che Gesù fu condannato a morte, oltretutto come sovversivo e agitatore di disordini, ciò aveva seriamente compromesso la sua reputazione, perché sia ebrei che pagani ritenevano che chi avesse il favore della divinità doveva, al contrario, essere immune da sventure e protetto da ogni pericolo. Infatti il movimento di Gesù dopo la sua morte era allo sbando. I Vangeli descrivono gli apostoli come scoraggiati e demotivati. Un primo tentativo di "rilanciare" l'entusiasmo tra i seguaci di Gesù fu la diffusione del mito della sua presunta resurrezione, sebbene in molte varianti contraddittorie, tutte riportate nei vangeli, compresa quella più posteriore, che fa seguire la resurrezione dall'ascensione fisica in cielo. Nient'altro che miti ebraici: ai pagani la resurrezione non diceva nulla, infatti negli Atti degli apostoli leggiamo che i greci dileggiarono l'ipotesi della resurrezione fisica di un morto (Atti 17). Ciò che "salvò" il movimento di Gesù dalla probabile estinzione non fu quindi il mito della resurrezione, né la predicazione degli apostoli, che non produsse alcun risultato fuori dal ristretto ambiente palestinese, ma fu l'abilità di Paolo, che reinterpretando la crocifissione come "sacrificio" non per i soli ebrei ma per tutta l'umanità, rese internazionale la nuova religione perché, come si diceva, l'idea di un sacrificio espiatorio era immediatamente comprensibile in quanto archetipo universale già noto a tutte le tradizioni antiche. Ciò avvenne non senza aspre polemiche con la chiesa "ufficiale" dell'epoca, ovvero quella di Gerusalemme, gestita dagli apostoli, che al contrario di Paolo ritenevano il "cristianesimo" (anche se non si chiamava ancora così) nient'altro che un modo nuovo di intendere la religione ebraica. Infatti, per molti anni, nella primitiva chiesa cristiana l'ala cosiddetta "giudaizzante" riteneva che se un pagano voleva seguire l'insegnamento di Cristo, doveva farsi circoncidere e diventare ebreo d'adozione. Paolo vedeva in questa regola un grosso limite all'espansione delle "sue" chiese, ovvero quelle che si trovavano in area greca, e del suo ruolo piuttosto ambizioso di "apostolo delle genti" e addirittura si ribellò fermamente a Pietro, da lui chiamato "ipocrita" perché si faceva influenzare da coloro che chiamava con disprezzo "quelli della circoncisione" (l'episodio è descritto nella epistola di Paolo ai Galati, cap. 2). Perché proprio il "sacrificio" di Gesù doveva avere un così grande valore? Perché Gesù non era un uomo "normale", secondo la nascente apologia cristiana, ma un semidio, figlio del Dio degli ebrei e di una terrestre, ovviamente vergine, come tutte le madri di tutti gli esseri semidivini mediterranei, a partire dalla popolarissima Iside che già veniva raffigurata con il bambino in braccio (hero). La figura mitologica di Iside (e molte altre divinità femminili) sarà poi letteralmente trasferita su Maria, la madre di Gesù. A distanza di 2000 anni, Maria è ancora rappresentata con le caratteristiche fisiche dell'egiziana Iside, e non con quello che doveva essere l'aspetto di una ragazza palestinese. Appartengono al culto di Iside anche le consacrazioni delle "grotte", in quanto divinità legata alla Terra. Certo i devoti che si recano a Lourdes o altri luoghi "mariani" non immaginano che la Grande Madre la cui statua è posta nelle grotte è Iside, e non Maria. NOTA - I pagani non potevano accettare il culto di un uomo che non avesse una origine "divina", per quanto eroico e meritevole. Era impensabile una diffusione in area ellenica del Culto di un uomo per di più un semplice "figlio di un falegname". Era anche improbabile che i Greci e i Romani si convertissero al monoteismo di Jahweh, il Dio di Israele. Perciò la Chiesa del primo secolo ha dovuto "provvedere" aggiungendo al Vangelo di Matteo e di Luca (ancora erano delle semplici tradizioni orali) il racconto leggendario della nascita da una Vergine, come la cultura dominante esigeva. Di tale racconto non c'è traccia nei Vangeli di Giovanni e di Marco, nonché in alcuna altra parte del Nuovo Testamento. Nei vangeli di Matteo e Luca il racconto della nascita miracolosa è aggiunto posteriormente, con un diverso stile letterario. Chiunque può infatti constatare, anche da una semplice lettura, che il vero inizio del Vangelo di Matteo corrisponde al secondo capitolo. Un uomo-dio che venisse "sacrificato" come "vittima espiatoria" era invece la soluzione perfetta, perché riassumeva tutti i miti religiosi mediterranei. Gesù non era "solo" Ercole (Eracle), ma Mitra, Apollo, Mercurio, ecc. Un simile "Cristianesimo" era lo esperanto delle Religioni. Peraltro anche in seguito il Cristianesimo (nella sua forma cattolica) manterrà questa caratteristica, ovvero di poter fagocitare e di appropriarsi di qualsiasi tipo di culto, tradizione, devozione, adattandola ed eventualmente adattandosi. L'esempio più lampante potrebbe essere il natale del sole (praticamente la festa del solstizio d'Inverno, il "Dies Natalis Solis Invicti") che diventa gradualmente, almeno vari secoli dopo Cristo, il Natale di Gesù. Il pagano dio protettore (dei fornai, dei macellai, dell'amore, delle messi, ecc.) è diventato il santo patrono dei fornai, dell'amore, ecc. mantenendo lo stesso giorno commemorativo. Ma esistono anche esempi recenti: la festa laica del 1 Maggio è recentemente diventata la festa di San Giuseppe lavoratore. Un vero e proprio furto di date, finalizzato a compiacere ed attrarre l'attenzione della gente da parte di una Religione mai sazia di popolarità, di consensi esteriori, di dominio sulla credulità popolare. Gesù non si occupava di religioni, ma dell'uomo Gesù non ha mai presentato una visione della sfera spirituale di tipo mercanteggiante, ovvero finalizzata a presunti benefici da realizzarsi nell'aldilà. Gesù è sempre concentrato sull'interiorità dell'uomo, sul suo essere qui ed ora, sulla mente. A coloro che venivano guariti da malattie autosuggestive (come la paralisi isterica), Gesù diceva: "la tua fede ti ha salvato." Dunque: "la tua mente." Nessun intervento magico o miracolistico; Gesù riteneva che la mente potesse 'spostare le montagne.' Non la religione, non i riti né i sacrifici, e nemmeno Dio, ma la nostra fede, ovvero la profonda intenzione della nostra mente. Basti pensare a celebri detti di Gesù come "chi vuole salvare la sua vita la perderà" oppure "non siate ansiosi per il futuro." Secondo Gesù, la condizione umana richiede di essere riscattata, "salvata", dal suo stato di sofferenza attraverso un cammino di illuminata comprensione e consapevolezza, basata non sulle cose esteriori (come appunto cerimonie religiose, ecc.) ma sulla interiorità ("Il Regno di Dio è dentro di voi") che non ha bisogno di riverenti obbedienze ad autorità religiose ("Non chiamate nessuno sulla terra vostro Padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli") ma di ritrovare sé stessi nella meditazione ("Quando preghi, chiuditi a chiave nella tua cameretta"). Gesù, il Monoteismo e la "fede non religiosa" Si potrebbe certamente osservare che Gesù, da bravo ebreo, fa costantemente riferimento al concetto di Dio. Tuttavia possiamo osservare alcuni elementi interessanti: Innanzitutto, Gesù non teorizza un "intervento" divino nella sfera umana, e non c'è una comoda "protezione divina" ma l'uomo deve assumersi le sue responsabilità, valutare le sue possibilità e soprattutto gli effetti del suo agire. Infatti, quando Gesù prese posizione su una catastrofe che accadde in quel periodo (chissà perché ma questo è uno degli episodi dei vangeli meno conosciuti) ovvero il crollo della torre di Siloe, che uccise 18 persone, non disse che si trattava di una "punizione divina", né che Dio doveva occuparsi di proteggere le persone dalle catastrofi. Si trattava di un accadimento "casuale" che non doveva essere strumentalizzato per ricavarne alcun principio (Vangelo di Luca, cap. 13). Egli affermò tuttavia che sia chi muore in simili incidenti sia chi sopravvive, si trovano esattamente nella stessa condizione, perché il vero bene per dell'uomo non è "sopravvivere alla morte" ma "convertirsi", ovvero ricercare quella trasformazione interiore senza la quale non c'è molta differenza qualitativa tra vivere, sopravvivere o morire. Quindi Gesù è senz'altro concentrato non su un mero attaccamento alla vita fisica, ma su una dignità umana qualitativa. In pratica, sebbene Gesù si trovi in un contesto ebraico abituato a schemi profondamente monoteisti, si può osservare che nel suo insegnamento il concetto di Dio è più "teologico" che metafisico. Una metafora che aiuta a capire, non una dottrina da credere o imparare. Fonte: www.cristianesimo.it www.anticorpi.info

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