Chi fa nascere i bambini?

Da Tiz

Nei giorni che sono seguiti alla nascita di Samuel ho avuto modo di riflettere su molti aspetti di questo evento. La prima cosa che ho notato e che, devo dire, mi ha disturbata parecchio è stata la reazione di quasi tutte le persone che hanno saputo com’è avvenuta questa nascita.

I commenti scherzosi sul ruolo di ostetrico di Andrea sono spesso diventate affermazioni serie: “L’ha fatto nascere lui”, “Per fortuna avevi Andrea che te l’ha tirato fuori!”… dapprima seccata per questa interpretazione che ribaltava i ruoli ho poi provato un’immensa tristezza per quelle donne che, pur avendo partorito dei figli non avevano avuto modo di essere protagoniste dei loro parti. E non parlo di autogestione, parlo di spingere, di sentire che stai facendo nascere tuo figlio, non che qualcuno te lo sta tirando fuori…

Dopo il mio racconto mia suocera e altre donne che qui si erano riunite ad ammirare il nuovo arrivato hanno evocato ricordi lontani di lettini, spinte a comando, episiotomie, spinte sulla pancia (Kristeller) e… ostetriche che “tiravano fuori” bambini…

Già, perché è questo che abbiamo perso di vista: le donne partoriscono. “La/il ginecologo che ha fatto nascere mio figlio”… o l’ostetrica… chissà quante volte l’avrò detto anch’io dopo la nascita di Tabita! Senza fermarmi a riflettere su queste parole… ma chi fa nascere i bambini?

Spesso, molto spesso quando racconto dei miei parti in casa leggo reazioni quasi offese, come se la mia scelta fosse un’implicita accusa a chi partorisce in ospedale. “Io mi sento più sicura in ospedale, non avrei mai il coraggio di partorire in casa”. La risposta a questa sorta di difesa non necessaria credo si trovi in ciò che scrive l’OMS a riguardo: “la donna dovrebbe partorire in un luogo che sente sicuro al livello più periferico al quale si possa garantire assistenza appropriata e sicurezza. Per una donna con gravidanza a basso rischio questo luogo può essere la casa, una casa maternità o l’ospedale”. (Documento completo – in inglese) Nel testo originale viene usato il verbo “to feel” che significa “sentire”… se una donna si sente sicura in ospedale, anche se ha avuto una gravidanza fisiologica e non ci sono fattori di rischio è giusto che vada in ospedale, perché è dove ci si sente più sicure che ci si può rilassare di più.

Io già la prima volta avevo il desiderio di rimanere a casa, io “sentivo” che la mia casa era il luogo giusto per dare alla luce i miei figli… ma questa sono io, questo era il mio desiderio, raccontare le mie esperienze non significa volerle rendere esempi a cui aspirare.

Vorrei, però, che facessero riflettere, questo sì. Perché indipendentemente dal luogo in cui si decide di far nascere il proprio figlio sarebbe giusto e bello che il parto fosse vissuto da protagoniste, coscienti di ciò che sta per accadere, del fatto che il corpo è nostro e che quel momento abbiamo diritto di viverlo come lo vogliamo perché rimarrà un ricordo indelebile per noi e per i nostri bambini.

Questo discorso vale per chi vuole partorire in casa come per chi chiede l’analgesia. Mi infonde un senso di tristezza quando leggo/sento di parti pilotati da perfetti sconosciuti con donne che si piegano alla loro volontà senza discutere minimamente e così passano ore sdraiate su un lettino nonostante in piedi potrebbero sostenere meglio i dolori del travaglio, subiscono manovre invasive o somministrazioni di farmaci senza mai dire la loro, spesso senza nemmeno chiedere cosa viene loro fatto… consegnandosi totalmente nelle mani dei “professionisti”.

Per prima io ho vissuto questo, quando, per esempio, durante il parto di Luca non ho rifiutato il monitoraggio continuo o ho accettato di farmi portare fuori dalla sala parto in sedia a rotelle quando avevo chiesto e avrei potuto farlo sulle mie gambe…

Andare in ospedale a partorire non dovrebbe voler dire questo. Anche in ospedale si può vivere il proprio parto in maniera rispettosa. Per non trovarsi a dover discutere ogni cosa con il personale una buona idea, per esempio, sarebbe quella di presentare e discutere un Piano del Parto.

Perché alla fine di tutto il discorso, quello che vorrei tanto poter comunicare è quanto sia straordinario vivere il parto come qualcosa di proprio, sentire che davvero abbiamo fatto nascere noi i nostri bambini, non il ginecologo, non l’ostetrica… non il nostro compagno che ci ha amorevolmente sostenute… i bambini li fanno nascere le donne!

PS: è superfluo scrivere che tutto ciò vale per quelle situazioni in cui tutto rientra nella fisiologia? Forse sì, ma preferisco specificarlo. E a breve anche altre riflessioni sull’autogestione del parto.


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