La comunicazione è fondamentale, sempre! Anche quella rasoterra. Così come lo sono le premesse, che non dovrebbero mai essere l’antitesi di quello che stai per dire.
Quand’ero piccola, molto tempo fa, una vicina di casa, pettegola come la sala d’aspetto d’una parrucchiera, si avvicinò a mia madre, esordendo così: “Signora Maria, non per criticare: ma quella brutta figlia di bagassa…” e continuò imperterrita a “non-criticare” la povera figlia di nonmiricordochi! Sovente, abbiamo captato o sentito in diretta, discorsi che cominciavano con: “Non sono razzista, ma gli zingari/romeni/neri/curdi/cinesi proprio non li sopporto!”. D’una banalità sconcertante! Ed in qualche modo mi fanno sorridere (e anche un po’ arrabbiare), quelle donne che sostengono: “Io sono per la parità dei diritti fra gli uomini e le donne. Ma per carità, non sono mica femminista!”
Signore e Signori: questo è il femminismo!
Al di là delle definizioni, che potete ormai trovare nei dizionari online, il femminismo è un’attitudine politica, filosofica e sociale fondata sull’uguaglianza di genere. É un movimento (nato nell’Ottocento) che si pone come obiettivi: la lotta contro il patriarcato e contro il sessismo, l’emancipazione delle donne, la promozione ed il miglioramento del loro “posto” all’interno della società, così come l’estensione dei loro diritti ed inoltre la fine dell’oppressione e delle discriminazioni di cui ancora oggi, sono vittime nel quotidiano.
Non c’è nulla di cui vergognarsi, non è una sconceria! Anzi, come abbiamo fatto a non accorgercene prima??? Fior fiori di pensatori, intellettuali, filosofi, sociologici che non si erano avveduti a sanare il profondo gap che esisteva tra i generi.
Fortunatamente sono nata negli anni delle contestazioni femminili, quando le donne hanno cominciato a scendere nelle piazze di mezzo mondo. Molte sono state insultate, picchiate e arrestate. Ma dal 1972 in poi è stato un continuo confluire di grembiuli e minigonne, di fazzoletti in testa e capelli al vento. Le metalmeccaniche stavano con le mondine e le infemiere, con le impiegate, le braccianti e le massaie. C’erano tutte, da Torino a Palermo, passando per Roma, Napoli e l’Irpinia. Ruppero gli schemi, i modi di manifestare: portarono colore, tamburi e istanze nuove. Si toccavano, si abbracciavano, facendosi sputare dai fascisti e sgomberare dai poliziotti. Ma poi tornavano, sempre, più sovversive di prima! Non erano più invisibili, avevano una voce all’unisono che rimbombava anche nel più piccolo paesello.
Sono le lotte femministe che hanno cambiato il diritto di famiglia: la riforma è cominciata nelle strade e nelle piazze, non nei tribunali! Qui si è solamente modificata nel 1975, divenendo costituzionale. É grazie alle femministe se venne abrogato l’istituto della dote, se entrambi i coniugi ottennero gli stessi diritti giuridici, se venne istituita la comunione dei beni, se la patria potestà divenne solamente potestà e poteva essere agita anche dalla madre. Le donne manifestavano, nelle fabbriche e nelle università, nelle periferie e nei policlinici. Manifestavano per Seveso, per l’aborto, contro la violenza sessuale. Manifestavano nei tribunali per Giorgiana e contro quei porci del massacro del Circeo. Hanno ottenuto grandi cose dagli anni 70, e perso molto sangue e vite, in quelle strade che confluivano sempre in uno spazio comune. Ma se si guardano i dati statistici del femminicidio, c’è molto, tanto da fare. Bisogna schiarire quella voce che c’è tutt’ora, che parla ed esiste nei convegni e nei blogs. Bisogna tornare nelle piazze e nelle strade per pretendere un’uguale salario degli uomini se si svolge la medesima mansione, per scoperchiare quel tetto di cristallo che ci vuole ancora impiegate e infermiere e poco dirigenti e ingegnere. Chi ha paura del femminismo? Solo gli imbeccilli e gli ottusi, che non sono grati a quel ventre femmina che li ha messi al mondo!
Babita