Nell’Italia della sobrietà, i festini erotici e le frivolezze sono ormai lassù in soffitta, cianfrusaglia coperta da un sottile strato di polvere che aumenterà con il tempo. Polvere che coprirà da sguardi indiscreti, polvere che però non avrà il potere né la volontà di cancellare nulla, soprattutto in termini di ricordi e pensieri. Nell’Italia della sobrietà, il tempo fa brutti scherzi. Le lancette girano vorticosamente verso il futuro, ci dicono. Qui sulla Terra, però, il senso della rotazione non è ancora ben compreso: ci parlano di futuro mentre dipingono un passato a tinte cupe. Un misto di “anni settanta vorrei ma non posso”, con qualche pizzico di perbenismo misto a reticenze anni trenta. Tutto ciò per ricordarci che il passato non è mai roba impolverata, perlomeno non per sempre. Il passato si ripresenta, morde e fugge, lustrato da pulizie a comando, secondo le necessità.
Dopo le “Br nelle procure” di Landini, dopo il rigurgito fascista spremuto a fatica dall’Arancia Meccanica fiorentina, ecco il folkloristico dopo-tragedia, quello dei gagliardetti e delle bandiere da sventolare, delle parrocchie da difendere e di quelle da assaltare a spada tratta. Un’idiozia generale innescata sin dagli immediati attimi seguenti alla mattanza di Gianluca Casseri. Quel Casseri talmente convinto delle sue logiche di “partito” e dalle sue ideologie, da suicidarsi. Gli spari sul mucchio, però, staccano slavine dalla forza d’urto importante, che non si fermano neanche di fronte alle dighe delle smentite ufficiali, degli statuti associativi o del più semplice fraintendimento, nutrendosi di una cieca fede nella parola, piuttosto che della realtà analitica dei fatti.
Parole su parole, che sfiorano la superficie ed evitano di andare a fondo, e che proprio per questo aumentano la portata del disastro. Un incendio divampato in poche ore, innescato dalla molotov di “Femminismo a Sud”, uno dei tanti blog in rete dal nome inzuppato d’aceto e dal manifesto forte e ristretto, come un caffè bruciato. Uno spazio collettivo e autogestito: «collettivo antisessista, antifascista, antirazzista, antispecista e non addomesticabile che non avreste trovato su facebook non fosse che per alcune sostenitrici che hanno creato una pagina che trovate QUI!». Insomma, già dalla presentazione, si può intuire come nella loro tana si scherzi poco.E così, domenica 18 dicembre, la redazione di “Femminismo a Sud” pubblica un articolo che in poche ore fa il giro del web, sfruttando una rete a maglie strette adatta per raccogliere anche pesci piuttosto grossi, data la fibra resistente manipolata dalla tragedia fiorentina di Santa Lucia. Un pezzo che sembra uscito da altri tempi, con la solita abbondanza d’aceto. Un’epistola indirizzata a coloro che hanno «sdoganato CasaPound». Un messaggio alle vittime del «clima di tolleranza verso il razzismo dilagante di CPI» e non solo. Un diabolico stuolo di proscritti che, secondo il pezzo, apparterrebbero ad un preciso piano di rilancio del fascismo al potere.
Aspettando di analizzare quale sia il chiaro prototipo di fascismo, occorre soffermarsi sull’arte dello sdoganare, che in senso figurato significa «togliere un veto, superare il pregiudizio». Il punto è proprio questo: il pregiudizio. Lo stesso pregiudizio che nutre la discriminazione a prescindere, il credo fascista dell’antifascismo militante, quello che non perdona. Quello con i paraocchi, svezzato a suon di dichiarazioni di guerra e portato a sprecare energie altrimenti spendibili in una seria e rigorosa protesta nei confronti di quello che realmente non va. Una serie di bocche affamate che cavalcano istinti primordiali dell’indole umana, aspettando di avere un capretto da sacrificare, da mettere affianco ai due senegalesi e a tutte le vittime del razzismo che serpeggia.
Il razzismo versione “modello base”, un’oscura forza del male che copre tutto, senza far distinzioni: «Lo sdoganamento dei gruppi di destra, così come la “tolleranza” per i vari “spariamo agli immigrati” pronunciati da sindaci, politici, ministri leghisti (vedi il viceministro Castelli e il consigliere regionale veneto Daniele Stivai e il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini, tutti armati di mitra, fucili e pistole per sparare agli immigrati come “leprotti”), ammiccamenti, istigazione, scivoloni di cui talvolta registravamo delle rivendicazioni e per altre si attribuivano all’esasperazione sempre giustificata quando qualcuno prendeva a sprangate l’immigrato di turno, avviene da anni e noi l’abbiamo sempre avvertito, monitorato e messo in relazione alle tantissime aggressioni di stampo neofascista che hanno insanguinato l’Italia negli ultimi anni. E “la caccia al negro” checché se ne dica ha un’impronta innanzitutto istituzionale, con le varie polizie a pestare persone di colore, con la gente forcaiola a fare esecuzioni pubbliche per il sospetto di un furto per un pacco di biscotti, ve lo ricorderete, o altri inseguiti per le vie per varie ragioni, e poi ci sono tutte le persecuzioni formato ronda, ronde leghiste, ronde dei partiti di estrema destra, ronde di cittadini “volenterosi”, ronde di cittadini dediti al linciaggio di neri, rom, così come si è visto in varie occasioni e in vari roghi ai campi nomadi, baraccati e via così».
Un polpettone senza forma, ricetta antica e già diffusa – purtroppo – sui grandi quotidiani a scala nazionale, sempre pronti a cavalcare l’onda della dottrina ammazza-pensiero. Freschissimo è un incipit di Concita De Gregorio su Repubblica, in cui la giornalista inquadra il Casseri come «Troppo giovane per essere stato fascista davvero – quando il partito fascista, o almeno il Msi esisteva ancora – e però fascista di ritorno. Fascista di CasaPound e figlio degli anni dell’odio e del disprezzo, appunto, dei diversi e dei più deboli».L’odio e il disprezzo, appunto. L’emarginazione. Gli strumenti più amati e al contempo più stigmatizzati, nella realtà politica italiana, dove uno statuto ben redatto o un’idea molto chiara vengono sconfitti e divorati da qualche parola su un giornale, o qualche espressione autorevole. Concita De Gregorio, Lucia Annunziata e molti altri. Tutti valorosi nostalgici dello scontro di tradizione berlusconiana, anche adesso che Berlusconi non c’è più. Tutti prodighi di parole vacue, che distraggono dall’evento in sé e che alimentano distrazione nociva, in una danza ipnotica di opposti che collidono, pratica che tutti fingono di disprezzare ma nessuno vuole abbandonare, perché fin troppo redditizia. Leghisti, polizia, CasaPound, il vicino di casa, la portinaia. La nebbia avvolge tutto, e si spara sulla folla. Tutti razzisti, tutti fascisti, tutti ci minacciano. Questa, insomma, è la parola dell’antifascismo per inerzia, che se fosse circoscritto alle simpaticissime amiche di “Femminismo al Sud” non sarebbe neanche degno di essere raccontato.
Dunque accade che un elaborato prodotto dal collettivo di un liceo occupato durante gli anni ’80 si diffonda in maniera capillare sul web, raccogliendo in calce la sua personale lista di proscrizione, con nomi, cognomi, e riferimenti degli “sdoganatori”. Un tuffo in epoche cupe, dai modi fascisti. Una guerra tra poveri che non conoscerà mai armistizi, perché da sempre fomentata.Uno squadrismo morbosamente ricercato, come arma contundente. A nulla vale approfondire, comprendere che lo sdoganamento andrebbe applicato sempre, in tempi in cui controlli e frontiere non ci son più, proprio per volere degli stessi che inneggiano alla ghettizzazione. A nulla vale comprendere che l’episodio di Firenze può rappresentare soltanto un gesto unico nella sua cruda pazzia, o comunque un fatto che meriterebbe diverso approccio. L’antifascismo prezzolato non permette di fermarsi e pensare: il treno passa, e bisogna aggrapparsi al volo, perché il prossimo potrebbe essere quello dei fascisti.
CasaPound non è razzista? Chi se ne importa. L’estrazione è quella, e la nostra indole non è quasi mai disposta a far sconti, o a schivare dogmi e assiomi. La devozione per l’assioma e per il sillogismo spiccio è la logica dominante. Casseri, tessera CasaPound: chiudere CasaPound, proscrivere chi sdogana CasaPound. Così, mentre aspetti altri cinque anni per andare in pensione, ci saranno comunque meno fascisti per le strade. Non è convincente? Inseriamo Gentilini e Castelli, e prepariamo una ricetta succulenta in cui l’aglio c’è ma non si sente. Questo perché le istituzioni sono inattaccabili, e bisogna trovare per forza un bersaglio che dia sfogo all’intollerante libertario. Monti non è un nemico, il Governo dei tecnici non è un nemico. Troppo autorevoli. Nati autorevoli. E l’autorevolezza, nel mondo di plastica, è tutto. E l’effetto dell’autorevolezza a prescindere è la discesa sulla Terra sotto forma di divinità.
Ѐ proprio per questo che la morale dominante si sveste dei panni dell’antiberlusconismo e si crea abiti simili. Ѐ proprio per questo che si decide comunque di creare un nemico, ora che il confine tra Bene e Male è così labile. Si sente la necessità di trovare un’etichetta, perché questo è l’unico stile conosciuto dal benpensante, prototipo umano che fa collezione di banalità in redazione parlando di cultura razzista e cattivi intolleranti, e che al ritorno verso casa scuote il ditino in faccia al lavavetri fermo al semaforo, evitando di abbassare il finestrino. Colui che con il suo sorriso conciliante si rifiuta di sdoganare CasaPound, mentre elogia le liste di proscrizione che proliferano su internet. Un posto in cui le referenze delle ragazze dell’Olgettina sono rimpiazzate secondo le nuove logiche dell’era della sobrietà, in cui tutto torna ad avere un sapore dannatamente vintage. Sapore di muffa.
(Pubblicato sul “Fondo Magazine” del 20 dicembre 2011)