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Chi mi ama mi segua

Creato il 19 giugno 2013 da Mavi
Finora su questo blog ho parlato poco di me, l'ho fatto perché pensavo che a nessuno interessasse delle mie sensazioni, dei miei sbalzi di umore, pensavo che gli stati d'animo dovessero essere condivisi con gli amici davanti ad un bicchiere di vino, guardandosi negli occhi, non qui, dove si possono raccogliere facili quanto finti consensi. Ho cercato di riportare qui le mie opinioni in maniera vera, talvolta ironica, ma mai troppo individuale. E' vero, sono le mie opinioni, quindi è comunque un modo per parlare di me, per raccontarmi, ma oggi voglio usare questo spazio per fare un po' di terapia, di autoanalisi. Insomma, chi mi ama mi segua. Anzi, restate in poltrona, io mi stendo sul lettino.Stasera sono rientrata a casa dal lavoro con un po' di tristezza, pensavo che non sono entusiasta del lavoro che faccio, che non sono entusiasta dell'ambiente in cui lavoro e che, fondamentalmente, non sono entusiasta di me! A guardarmi da fuori si direbbe che sono una persona felice: ho una bella famiglia, una bella casa, un lavoro a tempo indeterminato, amo chiacchierare con la gente, non solo virtualmente, e spesso sorrido. Se ci si sofferma un po' di più, si scopre che ogni tanto piango, che ogni tanto mi arrabbio, che sono un po' permalosa e che la mia famiglia non è poi tanto perfetta. Ho un marito meraviglioso, ma che spesso finisco per "sopportare", come probabilmente lui "sopporta" me. Ho due figlie per le quali darei la vita, anzi, ad essere sinceri, per le mie figlie e per mio marito, ho già dato la vita, ma non la mia. Ho sacrificato la vita della mia piccola Benedetta. Circa sette anni fa ho scoperto di avere in grembo una bambina down, una piccola, innocente bambina down. Da madre, non avrei mai voluto fare l'amniocentesi, i miei figli sono i miei figli, e non avrei mai rifiutato alcuno di essi, in ogni caso. Da moglie, ho dovuto ascoltare la richiesta di un uomo che si dichiarava troppo debole, troppo fragile per poter affrontare un paternità difficile, anomala. Da mamma della mia primogenita, mi sentivo in dovere di difenderla da tutto e da tutti, non avrei potuto imporle il "peso" di una sorella down, né avrei potuto limitare e condizionare tutta la sua vita, senza poterle garantire sempre il mio supporto, non essendo io immortale. Inoltre, il mio amore di mamma e la mia forza, non avrebbero mai potuto proteggere Benedetta da una vita di derisioni, di emarginazione. Insomma, mi sono immolata per tutti, ho deciso di sacrificare la vita mia e quella della mia bambina, per tutti, per la serenità di mio marito, della mia primogenita, per i miei suoceri conformisti ... Circa sette anni fa ho scelto di interrompere la gravidanza e di non far conoscere a Benedetta il mondo fuori dal grembo materno. A modo mio, l'ho protetta, le ho dato la parte migliore della vita ... Ho impressi nella mente i minuti dell'addio, il suo minuscolo corpicino che si allontanava, si separava per sempre da me ... strinsi le gambe forte, fortissimo, non volevo lasciarla andare ... Piansi moltissimo e lasciai che la tragedia si compisse. Il giorno dopo mi sono abbandonata tra le braccia di mia madre, come non facevo da anni. I miei genitori, di cultura cattolica, non erano d'accordo, ma avevano accettato la mia scelta per rispetto e per amore. Ho dovuto sopportare per mesi lo sguardo di disapprovazione di mio padre, con grande, grandissimo dolore. Da allora, non vivo più bene, mi sento sempre colpevole, mi sento cattiva. Da allora, non ho più tanto amore nei confronti di mio marito, penso che se avessi avuto un altro uomo accanto, non sarei stata messa nella condizione di dover scegliere, avrei accettato quella bambina e l'avrei accolta tra le mie braccia. Da allora, non amo più tanto me stessa. Ho provato a perdonarmi più volte, ma poi finisco sempre per punirmi in qualche modo balordo ... Adesso, lo sto facendo ammettendo in pubblica piazza la mia colpa, il mio dolore. Penso spesso a Benedetta come al mio angelo protettore, penso che le sue sorelle un giorno potranno conoscerla, penso che da lassù lei mi guarda con un po' di rabbia, ma in fondo mi ha perdonata, perché è migliore di me. Ogni giorno, ogni momento che tutto mi sembrerà perduto, penserò a lei, ed allora proverò ancora una volta a riprendermi ed a sorridere, perché il sacrificio non sia stato vano.

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