Ho pronti tre post nelle bozze: Chiang Rai, Phuket e un altro su St Louis che è lì che vaga, nel mio desktop da troppo tempo. Annoiato, incompleto.
La mia bacheca si riempie quotidianamente di foto di amiche e amici che sono nelle parti più disparate del mondo, sorrido messaggiando con Irene o Cabiria, mentre penso che sono a due fusi orari diversi e io sono in mezzo. Travel dreams nei post e quella stronzata dell' anno meraviglioso su facebook. Che dai, non ci crede nessuno. Vi siete lamentati fino a ieri e avete tirato frecciatine velate fino al 23 dicembre e adesso facciamoci una selfie e mangiamo una fetta di pandoro che alle cattiverie ci pensiamo dopo il 6 gennaio.
Io in questi giorni ho un pensiero che mi blocca dal pubblicare post allegri sui miei viaggi e foto in cui sorrido a 46 denti mangiando frutta esotica e morning glory.
E' una notizia di cronaca, che mi tocca da vicino: una ragazza piacentina è stata uccisa in Brasile, la notte di Natale. Era con un'amica incontrata in un ostello e con cui lei ha deciso di condividere un pezzo di viaggio.
Gianni è suo amico di facebook, mi raccontava che un po' di tempo fa l'aveva conosciuta, avevano parlato di viaggi ovviamente. Io ho guardato qualche sua foto: sorrisi, serate, panorami mozzafiato davanti a cui mostra sorrisi smaglianti e veri.
Potevano essere foto mie, o di qualsiasi mia amica viaggiatrice.
A parte il dispiacere profondo che provo per la famiglia per cui nessun abbraccio e nessuna parola sarà di consolazione, ho pensato per la prima vera volta cosa si prova a stare a casa. Ad aspettare, a non sapere cosa una figlia sta facendo dall'altra parte del mondo. Una figlia, una sorella, un'amica.
Io preparo lo zaino, lo riempio di vestiti e di sogni, do un bell'abbraccio ai miei genitori a mia sorella e a chi capita e poi parto, felice, serena.
Sono sempre io quella che parte.
E ogni viaggio è un'avventura, un pezzo di vita che condivido con Gianni o con chi viaggia con me. Ma non ho mai pensato davvero a quanto possono essere lunghi i miei silenzi, le mie telefonate mancate.
Penso a quando eravamo al Grande Kumbh Mela in India ed è crollata una passerella - troppo carica di gente - e noi eravamo lì, a pochi chilometri di distanza, praticamente ignari di quello che stava succedendo.
O quando ero in Cambogia e ho detto ad una ragazza belga conosciuta sul tetto di una barca se voleva dividere la camera con me.
I viaggiatori sono spesso spinti da amore, passione, voglia di avventura. Io almeno sono così.
Non so bene perché ma davanti ad una tragedia simile mi sono sentita non so bene come, ma... Egoista.
Prima di partire per questo viaggio in Thailandia mio cognato mi prendeva in giro dicendo "adesso apro un blog parallelo al tuo, lo chiamo "scusateioresto" e ogni volta che pubblichi una foto di cibo io metto la foto di quello che sto mangiando io. Dai tortelli ai bolliti". Abbiamo riso, e forse quello era un modo carino per dire "resta". Forse mi piace pensarlo.
Questo Natale ha avuto dei sorrisi in meno, e quello che è successo a Gaia forse l'ha reso un po' più cupo.
O forse mi ha dato da pensare su quanto possiamo fare in più con un minimo sforzo.
Non è un post per viaggiare responsabili, due righe attiralike perché una tragedia attira attenzione. Ma davvero mi piacerebbe che prestassimo più attenzione o cura al nostro mondo, alle nostre persone.
Che ad ogni volta che ce ne freghiamo lasciando correre giorni senza chiamare a casa, ci saltasse in mente un promemoria. Noi quando siamo a casa, e aspettiamo notizie di qualcuno.
Il destino arriva e ti prende che tu sia dietro casa o dall'altra parte del mondo. Le sfighe, le tragedie e gli orrori arrivano comunque... Solo sarebbe bello non far vivere perennemente chi sta a casa con il cuore in gola.
Siamo viaggiatori, ma c'è sempre una casa da cui proveniamo.