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Chi scrive legge in modo diverso. Ma è sempre un bene?

Da Anima Di Carta

Chi scrive legge in modo diverso. Ma è sempre un bene?

Fonte: Paperpedia

Il cambiamento è avvenuto lentamente. Da lettrice totalmente immersa nella storia e identificata con i protagonisti ho cominciato a diventare più distaccata e disincantata, fino a trasformarmi in una lettrice più consapevole e anche più critica.
Un passaggio forse inevitabile per chi scrive, quello di guardare con occhi diversi tutto quanto scorre sotto i suoi occhi. Colpa forse dei manuali di scrittura, ma anche dell'interesse e della curiosità di sapere come altri autori hanno saputo dar vita a bellissimi o bruttissimi romanzi, a seconda del caso.

Leggere per scrivere meglio


Credo sia un'evoluzione comune per chi ama scrivere arrivare a leggere in modo più analitico, con l'intento di cogliere segreti, farsi ispirare o persino rubare qualche idea. Non c'è niente di male, anzi ne viene solo del bene, perché questa consapevolezza nella lettura ci aiuta a migliorare quello che scriviamo. Ho anche l'impressione a volte di riuscire ad apprezzare più di prima un passo ben scritto, un'idea brillante.
Di ragioni per leggere ce ne sono tante, Daniele Imperi ce ne ha ricordate tre pochi giorni fa nel suo suo post 3 validi motivi per leggere. E uno scrittore ne ha ancora di più, come minimo per affinare la sua prosa.
Tutto bene quindi? Non ne sono più tanto sicura.

L'occhio critico di chi scrive


Qualche giorno fa ho cominciato a leggere un romanzo. Ero impaziente di averlo tra le mani, perché di quest'autrice (Charlotte Link, di cui vi ho già parlato per un altro suo romanzo) avevo già apprezzato varie storie, tutte ben scritte e con trame sapientemente congegnate. Insomma, ho iniziato a leggere il primo capitolo tutta entusiasta. Il romanzo in questione si intitola Il peccato dell'angelo e comincia raccontando dalla prospettiva della protagonista, una certa Janet. Il narratore si concentra su di lei limitandosi completamente al suo punto di vista. Nella scena compare Janet e un taverniere; parlano per un po', poi verso il finale leggo:
Stava cominciando lentamente a capire che c’era qualcosa che non quadrava in quella donna. Non avrebbe saputo dire che cosa gli dava quell’impressione, però c’era in lei un che di...
Ma il punto di vista non era di Janet? mi domando. Che c'entra ora il pensiero del taverniere?
Ok, vado avanti. Cambio di scena, altro pdv, quello del marito Philip. Alla fine della scena c'è questa frase che mi fa di nuovo sobbalzare:
Mario indugiò ancora per qualche attimo, ma suo padre sembrava ormai sprofondato di nuovo nelle sue elucubrazioni. Uscì dalla cucina senza far rumore.
Ma il punto di vista non era di Philip? torno a domandarmi. Perché questi cambiamenti di punto di vista improvvisi e ingiustificati?
Tutto questo mi ha confusa e soprattutto infastidita. Una delle prime cose che viene raccomandata a chi scrive un romanzo è non cambiare pdv nella stessa scena (a meno del narratore onnisciente). E quindi...? Un'autrice come questa che non conosce questa regola? Impossibile. L'ha volutamente ignorata? Forse, non so rispondere.

Sana attenzione o pericolosa intransigenza?


Al di là dell'irritazione che ho provato, mi sono chiesta: se mi fossi trovata davanti a un romanzo di un'esordiente come avrei reagito? Probabilmente peggio. Sarei saltata subito alla conclusione che quelli erano errori imperdonabili, che l'autore era un incompetente e quindi avrei mollato il romanzo. Invece, trattandosi di una scrittrice che ammiro, le ho concesso il beneficio del dubbio e sono andata avanti.
Altra domanda che mi sono fatta: un lettore che non ha mai letto un manuale di scrittura in vita sua e non sa nulla di scrittura creativa avrebbe notato i due cambi di pdv? Secondo me no. Sono quasi tentata di far leggere le due scene a mio marito e chiedergli se nota qualcosa di strano, ma sono abbastanza sicura che non ci farebbe caso e giudicherebbe la scena da altri parametri.
Tutto questo mi dà molto da pensare. La verità è che prima leggevo e basta, se mi capitava un romanzo brutto, dicevo “pazienza” e passavo oltre. Ora un libro che non mi piace scatena tutta una serie di reazioni:
  • Cavolo, che brutto questo romanzo, ma come ha fatto un editore così importante a pubblicarlo?
  • Ma qui è pieno di refusi, a cosa servono i correttori di bozze?
  • Mio dio, ma che cavolata, che ci stanno a fare gli editor se fanno passare queste cose?
  • Qui ci stava meglio un'altra parola...
  • Santo cielo, che trama barbosa. Ora capisco perché quel tipo su Amazon gli ha dato due stelline.
Insomma, mi domando se sia sempre un bene questo occhio sempre così attento, se non ci impedisca di tuffarci fino in fondo in una storia, ma ci costringa e restare sempre un po' distanti. O anche peggio a concentrarci su quelli che consideriamo errori senza godere più del piacere di leggere.
Naturalmente proseguirò con la lettura del romanzo in questione e posso anche intuire che mi piacerà, ma non posso fare a meno di chiedermi se le nozioni che abbiamo in testa non finiscano per “inquinare” i nostri occhi di lettori.
Giro a voi la domanda.

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