Chi se la prende in un certo modo con Giorgio Napolitano, mi viene da dire parafrasando una frase celebre di Baudelaire, ha qualcosa da nascondere. E non soltanto perché si parla di un Presidente della Repubblica estremamente coerente coi suoi principi e diligente, rispettoso nello svolgere il suo ruolo di garante delle istituzioni della Repubblica, ma anche per la sua storia personale e politica, integra e trasparente, fatta di linee indigeste per le «posizioni dogmatiche e idee ormai datate» che nel suo partito erano maggioranza, ammissioni di errori, alto senso dello Stato e indipendenza etica, prima che politica (vengono in mente, in questo senso, le parole di Francesco De Gregori nella sua intervista al Corriere della Sera del 31 luglio scorso: «Io ho sempre avuto nemici a sinistra, e non me ne sono mai occupato»).
Ha qualcosa da nascondere chi vede nella sua lettera alla Camere sulla situazione delle carceri uno stratagemma per salvare Berlusconi (cosa che, ovviamente, è ben lungi da essere, dato che il problema viene da molto più lontano e, in ogni caso, le soluzioni proposte non aiuterebbero in alcun modo l’ex premier), perché si dimostra incapace di valutare misure di interesse nazionale senza passare attraverso la lente offuscante del pro-Berlusconi/anti-Berlusconi. Ce l’hanno anche i vari esponenti del Movimento 5 stelle che in queste ore, quando non sono impegnati a lasciarsi andare a insulti triviali e ingiurie, chiedono le dimissioni del Capo dello Stato per le parole rilasciate ieri a un cronista: «Coloro i quali pongono la questione in questi termini pensano ad una sola cosa, hanno un pensiero fisso e se ne fregano degli altri problemi della gente e del paese». E lo fanno perché torna a loro vantaggio atteggiarsi a vittime di attacchi da parte del Presidente della Repubblica – lo stesso che bersagliano per primi da mesi, con toni da ultrà – e non spostare il tappeto dell’opposizione alla salvaguardia del criminale Berlusconi da sopra la polvere della loro totale mancanza di contenuti, da loro manicheismo, dalla loro ignoranza.
Qualcosa sotto il suddetto tappeto ce l’ha anche una vasta schiera di sedicenti militanti del Partito democratico e iscritti alla sinistra perbene che, a braccetto coi 5 stelle, imputa a Napolitano un uso anomalo e scorretto dei suoi poteri. Il tutto, in questo caso, per tenere fede a una fantasiosa narrazione – anch’essa divisa coi compagni pentastellati – che vede nel Presidente il regista machiavellico delle larghe intese di Letta – il grande nemico ideologico di una certa fazione purista dell’elettorato Dem. Per quanto riguarda il merito della critica, non indugerò oltre sulla correttezza e il rispetto istituzionale dimostrato dai grillini in parlamento, che credo sia sotto gli occhi di tutti, ma vorrei portare l’attenzione su un argomento più solido: rispondendo con quella frase alla polemica ad hoc del giorno, Napolitano non ha preso posizione contro nessuna parte politica, né ha creato un precedente pericoloso (come qualcuno è riuscito a scrivere sui social). Ha difeso l’istituzione che rappresenta, quella Costituzione con cui, a seconda della convenienza, ci riempiamo la bocca nei post e alle manifestazioni. Il suo intervento sulla questione delle carceri, come spiega bene Francesco Costa sul suo blog, è innanzitutto un richiamo ai dettami della Carta. Tra le altre cose, Napolitano l’ha difesa dicendo una sacrosanta e incontrovertibile verità.
Naturalmente, non esiste un uomo politico che non può essere criticato a prescindere. Chi critica, tuttavia, deve perlomeno avere l’onestà di mettere tutte le sue ragioni sul tavolo. Nascondersi dietro a un dito non è solo controproducente ai fini della riuscita dell’invettiva, ma anche un po’ da codardi.
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