Non sono più i licei classici, tradizionalmente di «sinistra», a battere il tempo, ma i professionali, spinti dalla precarietà. Ilaria, 17 anni, addetta al servizio d’ordine: “Siamo uniti e non abbiamo paura”.
Alla fine il bastone è arrivato. Quello che il ministro dell’istruzione Profumo aveva promesso di usare contro i rettori come, a fatica, ha chiarito dopo essere stato sommerso da centinaia di migliaia di carote lanciate dagli studenti il 12 ottobre scorso. Quello era il tempo dell’ironia contro un governo irresponsabile che scambiava le metafore usate nel Ventennio come se fossero realtà. Ieri a Roma, la realtà ha preso il sopravvento e il bastone è stato usato in maniera intimidatoria contro un movimento che si è ampliato agli insegnanti, offesi dalla farsa sull’aumento dell’orario di lavoro a 24 ore e dal giogo ricattatorio del «concorsone». E ha coinvolto una larga fascia di universitari e di precari. Un cambio di registro compiuto nella maniera più subdola. A freddo. Sono stati colpiti gli studenti medi in una caccia all’uomo, e alle donne. E si è voluto colpire l’instancabile ruolo delle Rsu degli istituti contro la legge «ex Aprea», oltre che il ruolo dei docenti e gli affetti dei genitori.
Tina, di buon mattino, è partita da Ostia con suo figlio che poi è stato braccato dalla polizia sul Lungotevere, insieme ad altre 143 persone. È stato identificato e poi rilasciato. Lei era con lui. Ha ancora i brividi: «È stata una manifestazione gioiosa e l’hanno rovinata. Il potere ha voluto mostrare i denti, ha voluto far vedere a ragazzini di quindici anni e agli universitari la sua forza». Ciò che preoccupa questa madre combattiva è la solitudine della mobilitazione, non la sua maturità. Non ci sono i sindacati: «I loro presìdi erano vuoti – continua Tina – Dovrebbero essere accanto a questi ragazzi. Ho invece l’impressione che abbiano perso il treno e non comunichino con loro. Rispetto alle occupazioni delle scuole di Ostia la Cgil ha detto che erano “pratiche illegali”. Ma stiamo scherzando? Questi sono ragazzi che cercano stili di lotta diversi dai flash mob». Gli studenti hanno occupato per giorni tutte le scuole di questa complicata città alle porte della Capitale e poi hanno deciso. Il loro coordinamento ha scelto di ricominciare le lezioni all’indomani dello sciopero europeo. «Hanno la piena consapevolezza – continua Tina – di quello che sarà il loro futuro, un domani per loro non esiste. E si stanno organizzando per resistere a questo. Le occupazioni della scuola lo hanno dimostrato, altro che bamboccioni o ciuchi».
La spina dorsale del corteo era composta dai medi giunti dalle altre città della corona metropolitana di Roma: Anzio, Aprilia, Tivoli e Nettuno, Albano e Pomezia, persino Latina. In maggioranza c’erano gli studenti degli istituti tecnici, una presenza visibilissima già dal movimento anti-Gelmini del 2010. È la prova che la partecipazione ha subìto una trasformazione sociale. Non sono più i licei classici, tradizionalmente di «sinistra», a battere il tempo. Oggi ci sono gli studenti che frequentano i corsi di moda, come quelli più vicini alle professioni esecutive (elettronica, aeronautica, artigianato). I soggetti che, in teoria,dovrebbero beneficiare dell’apprendistato voluto dalla riforma Fornero. Di cui però nessuno si fida. Lo dice Alice, 16 anni, che frequenta l’artistico-aziendale di Anzio secondo la quale «è difficile trovare oggi un’azienda che ci faccia fare un tirocinio. Hanno cambiato la legge? Da noi le aziende chiudono. Ma poi, che dici, ci pagano?». Agli occhi di una docente di scultura e di materie plastiche come Carola
Il futuro resta un’ossessione. Ne parla in prima persona chi lo incarna: Ilaria, 17 anni, studentessa del liceo scientifico Nomentano occupato. Come molte ragazze è in prima fila. «Siamo moltissime – dice – io sono nel servizio d’ordine, ci sentiamo alla pari di tutti gli altri, tra di noi non c’è distinzione. Svolgiamo anche un ruolo di mediazione tra posizioni diverse. Siamo uniti e grazie al cielo non abbiamo paura». In coda al corteo, insieme alle scuole di Roma Est, Ilaria definisce quella della polizia «un’imboscata». I caroselli delle camionette tra via Arenula e Ponte Garibaldi a Trastevere le sono sembrate «uno spettacolo disumano. Non si possono attaccare in maniera così bestiale ragazzi che andavano avanti e non erano aggressivi, nessuno aveva armi contundenti, camminavamo, semplicemente».
Ciò che molti temono, a questo punto, è che il movimento si faccia intimorire dall’uso, non metaforico, del «bastone». «Io spero che la mia scuola, invece, continui. Noi andremo avanti, non bisogna cedere davanti a queste minacce. Anzi sai cosa faremo? Nel nostro cineforum proietteremo il film Diaz su Genova. Spiega perfettamente quello che è successo a Roma. La storia si ripete».
«Altro che mele marce – afferma Francesco Raparelli, ricercatore precario e attivista, al quale è stata riscontrata una frattura alle costole per i colpi ricevuti dalla polizia – Ho visto ragazzi molto giovani picchiati e insultati, con una violenza vista solo a Genova. Una ferita mai rimarginata che torna fuori costantemente. È una vera anomalia in italia nonostante i gioverni dei tecnici». Anche lui è stato identificato, e poi minacciato. «Oggi – continua – gli studenti e i precari hanno bloccato il paese nel silenzio assordante della sinistra e dei sindacati. Si è espressa una sfera pubblica radicale e conflittuale, ostile alla costituente neoliberale di Draghi, Monti e della Bundesbank. Non ci faremo spaventare. Torneremo in piazza». Forse già il 23 novembre. di Roberto Ciccarelli http://www.ilmanifesto.it