Da alcuni giorni l’attenzione dei giornali italiani è posta sui cosiddetti gruppi maoisti indiani, responsabili del rapimento di due nostri connazionali nello Stato indiano di Orissa. E’ bene comprendere le caratteristiche basilari di questi movimenti, dal momento che, sebbene sia una questione interna all’India, questa problematica si collega ai già delicati rapporti tra Roma e Nuova Delhi per il caso legato ai due marò accusati dell’uccisione di due pescatori indiani al largo delle coste del Kerala.
Il termine naxalita deriva dalla sommossa contadina e anti-governativa del 1967 scoppiata a Naxalbari, piccolo villaggio del Bengala occidentale. Dalla fine degli anni ’60 le rivolte contadine, aventi l’appoggio dell’ala estrema del partito comunista indiano e prendendo come modello di riferimento la sommossa di Naxalbari, si sono propagate in breve tempo nell’India nord-orientale, centrale e meridionale, diffondendosi, inoltre, in Nepal e Bangladesh. Negli ultimi anni il vuoto di potere causato dalle autorità centrali ha comportato l’ascesa del Communist Party of India (Maoist), nato dalla fusione tra Maoist Communist Center of India, Communist Party of India (Marxist-Lenist) e People’s War Group nel 2004, dopo anni di lotte intestine tra gli stessi gruppi dell’estrema sinistra indiana. La fusione ha portato alla creazione di un’unica forza armata chiamata People’s Liberation Guerilla Army (PLGA), nonché la costituzione di un apparato ben organizzato il cui vertice è rappresentato da un Comitato Centrale dal quale provengono le direttive per i singoli comitati statali, regionali e distrettuali, con collegamenti anche con i partiti maoisti in Nepal e Bhutan.
L’ultimo anno è stato contraddistinto da un deciso calo degli incidenti, anche se nuove aree precedentemente non colpite dal fenomeno sono ora contraddistinte da questa problematica; le nuove regioni sono in particolare quelle del nord-est, dove il vuoto di potere lasciato dalle organizzazioni indipendentiste in base a motivi etno-linguistici, parzialmente sconfitte, è stato prontamente ricoperto da alcuni gruppi legati al CPI(M). Secondo South Asia Terrorism Portal nel 2011 i distretti colpiti dall’insurrezione erano 141, rispetto ai 194 del 2008. Tuttavia, il primo caso di rapimento di cittadini stranieri occidentali potrebbe dare nuova linfa e popolarità ai gruppi insurrezionali, i quali ora sono maggiormente conosciuti a livello statale e globale.
Nelle tredici condizioni poste dal gruppo maoista guidato da Sabyasachi Panda (segretario del Comitato organizzativo per il CPI-Maoist dell’Orissa) per il rilascio dei due italiani rapiti, è presente la richiesta di porre termine all’Operazione Caccia Verde (Operation Green Hunt), ossia l’azione militare predisposta da Nuova Delhi per sconfiggere il maoismo, e l’espulsione di tutto il personale paramilitare dall’Orissa. L’Operazione Caccia Verde è composta da corpi di polizia e gruppi paramilitari indiani, ma anche di appositi contingenti creati dalle multinazionali interessate alle risorse dell’area, nonché da guerriglieri tribali nemici dei maoisti ed ex guerriglieri naxaliti.
I maoisti giudicherebbero in maniera negativa i cosiddetti “safari umani” avvenuti nel passato in Orissa e di cui è stato accusato anche lo stesso Bosusco. Il governo dell’Orissa ha recentemente stabilito la restrizione dell’accesso di turisti e ricercatori nelle aree abitate da gruppi tribali particolarmente vulnerabili.
Una delle conseguenze negative della vorticosa ascesa economica dell’India degli ultimi vent’anni, con la contemporanea apertura del mercato indiano agli investimenti stranieri, è l’aver comportato degli effetti deleteri per il secolare sistema sociale delle popolazioni tribali dell’India. Il problema non è solamente legato a questioni di carattere ideologico o alla mancata volontà da parte dei naxaliti e delle popolazioni rurali dell’accettare un’idea di “progresso”. Molto spesso, infatti, la modernizzazione legata all’attuale crescita dell’India ha comportato lo sgretolamento di ataviche strutture sociali, difficili da sradicare con le sole promesse di “progresso”, unito alla degradazione ecologica d’intere regioni, vista la cospicua presenza di risorse minerarie, attiranti l’attenzione dei privati e delle multinazionali. L’intera fascia dell’India centro-settentrionale è attraversata da questa problematica, nella quale sono in gioco gli interessi d’importanti gruppi industriali mentre le preoccupazioni riguardanti la degradazione ambientale e il crollo di antichi sistemi sociali tribali e rurali sono messe in secondo piano. Le Special Economic Zones governative, se da una parte possono essere viste come l’emblema della positiva crescita economica indiana, da una diversa prospettiva, comportano la conversione d’intere regioni in nuovi spazi economici, causando lo spostamento di un gran numero di contadini, operai, pescatori, per lo più poveri, in altre zone. Allo stesso tempo anche i gruppi maoisti hanno assunto un potere locale sempre più forte, controllando intere regioni ricche di risorse. La rivolta naxalita s’inserisce in questo contesto e sovente “utilizza”, in chiave ideologica e per interesse personale dei propri leader, le rivendicazioni delle popolazioni rurali e tribali. E’ dunque una delle componenti negative della riconosciuta crescita economica dell’India contemporanea, una delle sfide per il futuro di Nuova Delhi.
Il supporto decisivo del mondo rurale indiano all’azione violenta dei maoisti, la quale costantemente colpisce gli stessi civili, è strettamente legata al carattere di estrema povertà delle regioni del “corridoio rosso”, unito alla totale assenza di un sistema governativo in grado di garantire dei servizi minimi. La soluzione del problema naxalita è dunque molto complicata, vista l’estensione dell’insurrezione e l’appoggio attivo di una parte della popolazione, avvenuto grazie alla capillare azione dei gruppi maoisti nelle zone rurali negli ultimi trent’anni. Secondo alcuni analisti la rivolta maoista, possibile ostacolo per la coesione interna del paese, sarà completamente superata una volta che l’India saprà sconfiggere efficacemente l’estesa povertà presente nelle regioni contraddistinte dalla rivolta naxalita, garantendo al contempo il mantenimento di un sistema sociale e culturale che non può essere totalmente sradicato.