Un recente studio dell’Università del Vermont dimostra che più si viaggia lontano e più si è felici. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica piuttosto innovativa che attraverso l’analisi di 37 milioni di tweet geolocati, studia il rapporto tra la distanza percorsa da casa e la frequenza di parole “felici” all’interno dei propri messaggi. Questa ricerca all’apparenza superficiale è partita dalla visione di oltre 4 miliardi di tweet, il 10% dei messaggi totali pubblicati durante l’anno 2011, e da questi ne ha estratti circa 37milioni, quelli geolocati tramite servizi e applicazioni GPS che riescono a collocare l’autore con esattezza entro un raggio di dieci metri. Scartando quindi i tag, l’inserimento manuale, e le parole che descrivono la posizione si sono potuti vedere in modo oggettivo i movimenti di circa 180.000 persone di lingua inglese, riuscendo a definire i luoghi più frequentati, come casa o lavoro, e quelli più speciali, come la destinazione di un viaggio.
Attraverso un hedonometer, un sistema di analisi dei sentimenti recentemente messo a punto, si è poi misurato il rapporto tra frequenza nell’uso di termini considerati positivi e distanza da casa. Lo strumento che percepisce il valore, positivo o negativo, delle parole prende in esame 10.000 delle parole più usate in lingua inglese, ed ad ognuna di queste da un punteggio da 1 (triste) a 9 (felice). I risultati non impressionano più di tanto, in quanto dividendo il gruppo di persone studiate in due categorie, il large radius group, ossia chi si muove a distanze maggiori, e lo small radius group, ossia chi tende a spostarsi poco dai soliti punti, la prima viene considerata più felice per l’uso maggiore di parole positive come “spiaggia”, “nuovo”, “bello”, “ristorante”, mentre il secondo tende ad utilizzare di più termini come “traffico”, “mai” e “odio”. Più nel dettaglio ci sono differenti parole valutate come positive utilizzate dai due gruppi. Chi va lontano tende a parlare di più di cibo, tende a ridere di più (“ahahah”), mentre chi si muove meno parla più spesso di amore, divertimento e di sé stesso, ma in generale, anche se di pochi punti è il gruppo con un radius di 2.500 km a dimostrarsi il più felice.
Leggendo i risultati di questo studio viene da controbattere che viaggiare non è questione di distanza, si può trovare la novità a 10 come a 10.000 km, e sorprendersi ed emozionarsi è possibile ovunque, che sia facendo un giro in bicicletta che un giro intorno al globo. A chi è capitato però di viaggiare su lunghe distanze si renderà conto che spesso ciò che fa la differenza non è essere lontani, ma sentirsi lontani. Trovarsi ad una distanza tale dalla propria zona di comfort da non potersi semplicemente girare e tornare indietro mette in una posizione in cui non sono le attrazioni che andiamo a visitare a regalarci una vibrazione, ma più il fatto di essere evasi dai propri confini locali, nazionali o continentali. È felicità questa? Non lo so, ma sicuramente è una sensazione fresca, curiosa, un entusiasmo che spinge alla condivisione, a lanciare quei tweet che marchiano un po’ la novità stessa che ci troviamo dentro.
Quindi chi viaggia più lontano ha davvero una vita più soddisfacente? Il peso che si può dare a ciò che questa ricerca riesce a dimostrare si limita a molte variabili non prese in questione. Lasciando da parte il significato che si vuole dare alla parola felicità, e pur dando per scontato che i ricercatori abbiano trovato quello esatto, cosa si intende per viaggio? E cosa si intende per lontano in un mondo in cui tutto è raggiungibile in poco più di una giornata di volo? Quello che appare, a mio avviso, è ben diverso da ciò che viene comunicato. Le parole positive date come esempio di vantaggio del gruppo con radius più largo (spiaggia, ristorante, caffè, nuovo) rimandano immediatamente all’immagine della vacanza. E fin qui si è scoperta l’acqua calda: chi va in vacanza è più contento di chi sta a casa. Ma non solo, l’impressione è che chi si muove per piacere tende ad essere più fiero del proprio status sociale, e di conseguenza più propenso a volerlo rendere pubblico. Insomma non è tanto chi si muove di più ad essere più felice, ma più semplicemente chi se lo può permettere.
Che la twitterologia abbia dimostrato che I soldi fanno la felicità forse è prenderla un po’ troppo larga, ma un discorso meno scontato è forse quello che prende in causa una felicità presunta più che quella reale. Viaggiare per piacere, andare in vacanza, sarà certo un’attività divertente, ma almento tanto quanto egoistica. Chi viaggia per diletto è solitamente l’unico a trarne vantaggio, e come è possibile sfuggire alla vuotezza di qualcosa il cui unico e solo fine ultimo è il piacere personale, del singolo? Tramite l’approvazione altrui, e quindi ecco che si cerca su Twitter un appoggio virtuale, che parlando di viaggi è così facile da ottenere, da chi con un po’ di invidia non sogna altro che seguire le nostre orme.