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Chi vince vince, non c’è dubbio

Creato il 01 giugno 2015 da Malvino
Chi vince vince, non c’è dubbio, e chi perde perde, è ovvio. Non si discute, dunque: le regioni erano sette, cinque vanno al Pd di Renzi, Renzi e i renziani possono dire di aver vinto cinque a due. Poi, volendo, cè da guardarla più da vicino, questa vittoria. Ha votato solo un avente diritto al voto su due, con una media di quasi il 10% in più di astensionismo rispetto alle Europee, che già battevano un record. Sulla vittoria non incide, perché si sa che chi non vota conta zero, ma esiste e, pur stando zitto, qualcosa dice: dice che non fa alcuna differenza tra chi vince e chi perde, perché luno vale laltro, e il giudizio di valore quasi mai è lusinghiero. La vittoria, dunque, è oggettiva, senza dubbio, ma solo per chi crede nella partita, e a credere che abbia un senso è solo la metà del paese. L’altra metà non ci crede, delegittimando in questo modo il senso della competizione elettorale, ma senza avere alcun diritto di delegittimarne il risultato, tanto meno di invalidarlo o di depotenziarne gli effetti, il che può lasciare indifferente solo chi considera le elezioni un mero espediente per avere uno che governi. Con lo sbilanciamento del rapporto tra rappresentatività e governabilità, e con l’ormai consolidata opinione che la prima debba sempre essere sacrificata alla seconda, che è il segno più macroscopico della crisi in cui versa la democrazia, non mette in alcun conto considerare un così alto astensionismo: se ne parlerà un pochino, ma solo fino a quando non si avranno i risultati definitivi, e sarà l’omaggio che il vizio tributa alla virtù. E dunque accantoniamo senza alcuno scrupolo questi milioni di aventi diritto al voto che hanno ritenuto inutile votare, d’altra parte non è detto che in futuro cambino idea e tornino alle urne, ma, per il modo in cui si va consolidando l’idea che la democrazia possa restar tale anche conservando solo la forma per poter perdere ogni sostanza, è più probabile che si asterranno ancora, e che il loro numero sia destinato a crescere. Poco male: se il fine ultimo è svuotarla del tutto, saremmo in democrazia anche quando l’elettorato attivo dovesse pienamente coincidere con quello passivo e una oligarchia procedesse per cooptazione a darsi un quadro organico riassettandolo di volta in volta in funzione dei flussi di potere al suo interno. Basta parlare di astensionismo, dunque. Non è un problema. Se dobbiamo concentrarci esclusivamente sull’oggettivo peso dei risultati, rimane il cinque a due che Renzi e i suoi possono vantare come vittoria. Possono vantarla, ma è vera vittoria? In Campania vince De Luca, in Puglia vince Emiliano: due che possiamo considerare renziani? De Luca ha avuto l’appoggio di Renzi solo nelle ultime due settimane, dopo mesi e mesi passati a cercare invano un’altra candidatura: sembrava che potesse andar bene chiunque al posto di De Luca, perfino un vendoliano riverniciato all’ultimo minuto da chiachiello. Neanche il tempo di vincere, anzi di stravincere, ed ecco che Emiliano apre al M5S, dice che gradirebbe la sua collaborazione al governo della regione. Poco importa cosa se ne farà, di fatto non ha aperto né a Schittulli, né a Poli Bortone, e questa è una rottura con la linea che il Pd persegue a livello nazionale, peraltro in bilico tra la voglia di un nuovo patto del Nazareno e la tentazione all’azzardo di provare al più presto l’Italicum per vedere se la destra si svuota in favore del tanto vagheggiato Partito della NazioneIn Campania e in Puglia, quindi, non è affatto esagerato dire che si tratti di una vittoria di Pirro: Renzi può solo attendersi delle rogne da De Luca ed Emiliano, e solo in cambio di poter esibire, oggi, le loro vittorie – vittorie esclusivamente loro – come sue. Un prezzo enorme per quasi niente.  Lì dove erano in corsa candidati genuinamente renziani – Paita in Liguria e Moretti in Veneto – la batosta è stata anche più sonora di quanto fosse ragionevole attendersi, rivelando ancor di più, se fosse necessario, che Renzi è un uomo solo, che può contare, è vero, su un partito che in Parlamento e in Direzione nazionale lo asseconda con la dovuta soggezione, e quasi certamente continuerà a farlo, ma solo fino a quando riuscirà a reggere, e con personalità buone solo a fargli da contorno: comparse, qualche caratterista di assai opinabile talento, anonimi sgherri per presidiare il punti sensibili del web, ma poi che altro? Chi poi è diventato renziano dalla sera alla mattina – si pensi ad un Orfini o ad una Serracchiani – quanto potrà metterci a non esserlo più, quando fosse necessario? Vince, Renzi, e in modo relativamente agevole, in Toscana e in Umbria, da sempre feudi del Pci, dove l’elettorato è abituato da oltre mezzo secolo a votare il candidato deciso dal partito, chiunque sia: riflesso pavloviano che prima scattava per ideologia o per sentimento identitario, e oggi scatta per quanto ne residua dopo la morte delle ideologie ed un assai problematico ragguaglio circa l’identità. Fa fede di quest’ultimo dato – emblematicamente, se gli si vuol dar peso – il fatto che in Umbria gli exit poll davano perdente il candidato del Pd e tutti sanno che gli exit poll falliscono le previsioni quando c’è un congruo numero di intervistati che si vergogna di dire per chi abbia realmente votato. A parte, se non avessimo già detto che chi non vota conta zero, ci sarebbe da segnalare che in queste due regioni l’astensionismo è sempre stato assai ridotto e oggi arriva a superare di parecchio il 40%. Segno che certa puzza si sente pure con le narici turate e turarsele non basta a preferire l’Italia di Renzi a quella di Berlusconi Ora, per gli elementi di natura narcisistica e paranoidea che sempre caratterizzano le dinamiche interne a gruppi che si danno una leadership come quella di Renzi, non è difficile prevedere come sarà letto il voto del 31 maggio, d’altronde già le prime reazioni rivelano i tratti che caratterizzeranno il mantra da far salmodiare a quelle patetiche decalcomanie del leader che da qualche tempo infestano i talk show televisivi. Dove si è perso – si dirà – era largamente previsto: contro Zaia, in Veneto, era impossibile vincere; in Liguria, si sa, c’è stato il sabotaggio dei fuoriusciti che, pur di far perdere il Pd, hanno fatto vincere Toti. Altrove? Conferma che l’Italia vuole Renzi. S’era detto – è vero – che quello delle Regionali non fosse un test su di lui e sul suo governo, ma il risultato, volendo, può ancora tornar buono come indicatore che il sogno ad occhi aperti ancora regge. Dio ne abbia pietà, quando, ad eccezione di chi sarà stato in grado di riciclarsi per tempo, li vedremo penzolare a testa in giù accanto al loro rais.   

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