Ho deciso di dividere questo post in tre parti, essendo la riflessione lunga e sostanzialmente divisa in tre parti essa stessa. In un certo senso, è un’esagerazione stare a pensarci così tanto: un singolo voto non significa nulla. È il paradosso della maggior parte delle azioni singole, e del voto in particolare: le compiamo sapendo che da sole non cambieranno niente, ma sperando che un numero alto di altre persone facciano assieme a noi la stessa scelta. Se una sola di queste persone, noi compresi, si ritira, di fatto non ci sono conseguenze; eppure non ci ritiriamo perché abbiamo fiducia negli altri e vogliamo che gli altri abbiano fiducia in noi. Moltiplichiamo mentalmente la nostra azione per tutte le persone che potrebbero c, e in base a questo ci sentiamo fiduciosi di poter cambiare le cose. Solo a livello molto piccolo si vince per pochi voti, e mai per uno solo: eppure tutti votiamo come se la nostra decisione cambiasse tutto.
La mia riflessione su chi votare è sofferta e va per esclusione. Non dovrebbe essere così, ma credo talmente poco nell’istituzione per cui scelgo un rappresentante, e soprattutto nelle proposte di tutti i candidati, che devo prima trovare un buon motivo per non non votare.
Io capisco la logica del non-voto, quando è una scelta e non frutto di disinteresse; la capisco o credo di capirla ma la disapprovo. La disapprovo innanzitutto perché chi la pratica dice di non credere nelle istituzioni, però quasi sempre poi le critica e pretende qualcosa da esse. Che si tratti di anarchici, movimenti, o singoli ribelli, ho notato che le persone che non votano per scelta sono spesso tra le più attive nella società, e questo è un bene, ma anche tra le più attive nel criticare gli eletti e pretendere qualcosa da loro secondo i loro (cioè non i propri) parametri. I non-votanti che conosco sono i primi ad arrabbiarsi se un’istituzione non è trasparente, se un politico non mantiene la parola data, addirittura se ci sono vizi di forma nelle carte pubbliche. I non-votanti spaccano i quattro i capelli di una testa che per loro non dovrebbe neanche esistere. Non vale.
La risposta che mi viene data quando dico che non vale è: sì, io non voto, ma loro hanno il potere/i soldi e quindi devono rendere conto ai cittadini. Vero, ma non c’è un modo solo di rendere conto ai cittadini, perché i cittadini non sono un blocco unico e vogliono cose diverse, e proprio per questo motivo siamo ancora qui a disquisire di democrazia e di come farla funzionare al meglio e far sì che rappresenti la volontà popolare che è una questione complicatissima già di suo. E anche le proposte degli anarchici a me sembrano democratiche, solo su scala piccolissima e con un ricorso minimo alla delega, ma sempre comunque basate su qualche forma di rappresentanza partecipata.
Al di là delle strutture formali, in cui appunto i non-votanti non si riconoscono, i contenuti delle proposte politiche non sono unanimi. Non tutti vogliono fermare il consumo di suolo, garantire il diritto alla casa, chiudere i CIE, e così via. Se tu pretendi che le istituzioni facciano queste cose, devi misurarti con gli altri che vogliono altre cose da queste stesse istituzioni. Un modo fondamentale per misurarsi è il voto. So che questo sistema ha dei grossi limiti e non funziona proprio benissimo, ma l’alternativa dei non-votanti al momento mi sembra essere solo una forma popolare di prepotenza: tu fai così perché noi siamo in piazza a fare casino. Questi manifestanti non-votanti dimenticano che spesso i politici che loro criticano operano bene secondo molti elettori, alcuni dei quali sono disinformati, e questo è il primo limite della democrazia, ma altri dei quali sono proprio contenti così. Andare in piazza è importante, ribellarsi, in casi estremi, è dal mio punto di vista consentito, ma senza mai perdere di vista il fatto che c’è chi non la pensa come te e che con queste persone condividi la cosa pubblica. Non votare come scelta di vita, ma manifestare, è dire: di te non me ne frega niente, io vivo come se avessi tutta la ragione io.
Io, comunque, ho preso in considerazione l’idea di non votare per le elezioni europee, essendo contraria all’idea non di un governo qualsiasi ma di un governo europeo in particolare, però ho pensato che così rinuncerei a qualsiasi voce in capitolo su politiche che avranno conseguenze anche per me, e alla possibilità di votare un partito favorevole a meno Europa, non di più – per quanto difficile possa essere.
Un altro motivo per non votare, questo a mio giudizio più valido, potrebbe essere che il meccanismo del voto è distorto. Una soglia di sbarramento al 4%, ad esempio, renderebbe potenzialmente nulli milioni di voti. Ma non votare perché il proprio prescelto non ha la possibilità di farcela significa cadere nella trappola preparata dai partiti più grandi. Meglio scegliere uno sfavorito e sperare che abbastanza persone facciano altrettanto da permettergli di superare la soglia, o almeno di mandare un messaggio.
Si può obiettare che anche il non voto è un messaggio. Sì, ma solo nelle intenzioni di chi lo fa. Per tutti gli altri non è niente. Magari qualcuno commenterà sull’alto assenteismo, qualcuno addirittura presterà attenzione a quanti non hanno votato, però le decisioni alla fine le prendono quelli che votano, non quelli che non lo fanno. Inoltre, quando un partito si vanta di aver preso una determinata percentuale, si contano solo i voti validi. Tutti gli altri sono una nota a piè pagina di cui alla fine dei conti non importa a nessuno. È brutto, ma è così. E dal momento che è possibile per chiunque raccolga un numero sufficiente di firme e rispetti delle regole, non ottimali ma comunque neanche dittatoriali, candidarsi, a chi non vota perché non c’era abbastanza scelta si può sempre rispondere: e perché non ti sei candidato tu?
Quindi, per quanto tentata di non votare, farò il possibile per trovare qualcuno a cui dare la mia preferenza. Però non voglio cedere alla logica del meno peggio. Se nessuno mi rappresenterà quel minimo indispensabile per dargli il mio voto, cioè se tutti mi faranno schifo, allora mi rassegnerò a non votare. Sto cercando però un modo di evitarlo.