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Qualche riflessione.
La prima cosa da dire è che De Girolamo ha fatto bene, benissimo, assolutamente bene, a presentare le dimissioni. La motivazione addotta invece, è meno elegante. Non serviva infatti che il governo non la difendesse, come lei stessa ha sostenuto spiegando la decisione, ma era proprio per la sua dignità - il principale motivo che l'ha spinta, a dir suo, «L'ho fatto per la mia dignità» è esplosa nel comunicato ufficiale - che avrebbe dovuto subito lasciare il posto. Così si fa, o andrebbe fatto: e poco conta che le indagini della magistratura ancora non l'hanno toccata, e poco conta che probabilmente sarà innocente. Conta invece, e molto, il messaggio che passa da quelle intercettazioni: rubate, è vero, ma comunque esistenti. De Girolamo ha incarnato il male del potere, il controllo, la prepotenza, le collusioni. La questione crea imbarazzo per il governo; soprattutto per un governo inserito in questo momento storico, dove la lotta all'estabilshment - con vizi e pessime abitutdini connesse - è diventata il mantra globale. Dunque c'entra la credibilità del governo, la credibilità della politica, la credibilità delle istituzioni.
Seconda osservazione, riguarda un certo modo, immediato, istantaneo e istintivo, di fare uso degli eventi. De Girolamo si è dimessa, è vero: ma questo non significa che lei sia automaticamente colpevole per un qualche reato - cioè non è detto che l'abbia fatto perché ha la cosiddetta "coda di paglia". Dunque astenersi perditempo, esecutori di processi sommari, tricoteuse politiche: tutto si vedrà, poi. Si è detto, invece, dell'imbarazzo e della credibilità dell'esecutivo: e in questo colgo l'occasione per andare un attimo un po' fuori tema. Per certi versi - quelli legati alle circostanze penali e ai reati eventuali da accertare - le dimissioni fin qui "regalate al buon senso e alla credibilità": analoghe a quelle che sarebbero state "dovute" nel caso in cui un ministro della nostra Repubblica, fosse stato beccato (per dire) a insultare i vegetariani oppure a travestirsi da Angela Merkel durante un'orgia casalinga. Per capirci nessuna delle circostanze - fin qui nemmeno quelle che hanno al centro De Girolamo - costituisce reato, ma costituisce imbarazzo per il ruolo e per ciò che rappresenta: e le spiegazioni parlamentari e collegate dimissioni sono, opinione mia, l'unica soluzione. Sì: qui si apre l'ampia discussione tra privato e pubblico, che per me - come ho ricordato in altre circostanze - quando si tratta di certi livelli in certe istituzioni, non ha alcuna distinzione. La rappresentatività pubblica, l'incarnare le istituzioni, richiedono a mio avviso un'irreprensibilità, un'integrità, un'alienazione personale, quasi inumana: ragione per cui batto sul fatto che la politica e soprattutto le rappresentanze istituzionali, nutrano la continua necessità di ricambio. È stancante essere perfetti sul piano umano e personale - la circostanza fondamentale che si richieda ad un politico, ancora di più ad un ministro - e per evitare il rischio della macchia, l'unico metodo è inserire continuamente forze fresche.
Qui si apre la terza questione: il potere. Quel potere che, anche per le ragioni di cui sopra, ingolosisce chi ce l'ha con la stessa insistenza con cui logora il fegato di chi ne è privo. Nel caso è stata proprio la bulimia di potere, una sorta di delirio di potenza, il soggetto di fondo di tutta la vicenda. Potere mostrato con le unghie, con prepotenza, per quel che si legge in quelle parole. Le parole, appunto. Questione che ci ha anche scandalizzato - come può "quella" ministro, esprimersi in certi modi?, ci si è chiesto. E tutto ha ruotato, molto, intorno a quel "quella". Parere mio, ma se le stesse parole fossero uscite dalla bocca di un uomo, ci si sarebbe sorpresi meno. La donna, la giovane donna, che usava quel linguaggio forte e quei metodi discutibili, ha aggravato ulteriormente i contorni del caso. Non vado oltre, perché è un dato a contorno.
La quarta questione, riguarda un'altra discussione di contorno: le differenze tra il caso Cancellieri e questo. Differenze che ci sono, eccome: anche perché quella volta la telefonata intercettata fu soltanto di carattere informativo, operata da un ministro nel pieno della legittimità delle sue funzioni - con questo non si cerca ovviamente di negare le contingenze personali che facevano da scenografia alla vicenda. Nella storia che coinvolge De Girolamo, invece, il legittimo esercizio delle funzioni di un politico (all'epoca dei fatti non era ancora ministro) non c'entra per niente. Anzi, l'opposto: si parla semmai di circostanze molto prossime all'illegittimità, che non significa illegalità, ma quanto meno ha a che fare (e molto) con l'etica e la morale di cui la politica dovrebbe vantarsi.
E ci si potrebbe vantare anche che le nostre istituzioni siano arrivate ad una tale maturazione - una volta accertato il passo falso (di qualsiasi genere) che possa risultare problematico e controverso proprio per le istituzioni, le persone che le incarnano rassegnano le dimissioni senza la necessità di scomodare antipatici passaggi giurisprudenziali. Ma per farlo fino in fondo, sarebbe bello che quelle dimissioni, non si portassero dietro rancori su mancati aiutini e difese dall'alto, così come sarebbe bello che non si portassero dietro i processi sommari della massa: ma questo è più difficile, perché ha a che fare con la sfera umana, e con le umane predisposizioni all'assenza di laicità.
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