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Chiapas: un viaggio semiserio/2

Da Silviapare
Chiapas: un viaggio semiserio/2[Nota: come scrivevo rispondendo a un commento di elle, purtroppo non ho una foto della mia faccia ustionata. Anzi, in realtà ce l'avrei, una foto bellissima in cui mi spalmo la crema con l'aria da Vispa Teresa, però ho perso l'originale e l'unica copia che possiedo è questa microfotina che ancora oggi tengo come foto del profilo su skype, e che non ho modo di ingrandire.]
Continua da QUI.
La piazza principale di San Cristòbal de las Casas, lo zócalo, è un rettangolo circondato da portici in stile coloniale con un giardino centrale, un posto molto animato dove io e Sergio ci eravamo dati appuntamento la sera dopo il mio arrivo, e dove lo aspettai invano per un’ora e mezza. Mentre gli scrivevo un’e-mail un po’ indispettita da un internet café, sentii una voce alle mie spalle che mi chiamava per nome. Mi voltai e tirai un sospiro di sollievo. Sergio era bassetto, un po’ irsuto e forse neanche pulitissimo, ma l’aria da romantico rivoluzionario ce l’aveva in pieno. Risultò che anche lui mi aveva aspettata per un’ora e mezza, ma dalla parte opposta della piazza, e anche lui era entrato nell’internet café per scrivermi un’e-mail. Stava per sedersi accanto a me quando lo sguardo gli era caduto sulla prima riga del mio messaggio: Caro Sergio. Una misteriosa coincidenza al primo incontro rende tutto ancora più affascinante, mi dissi.
Mentre cercavamo di dissipare l’imbarazzo lungo la strada per il ristorante, mi accorsi che Sergio mi fissava con una certa insistenza, probabilmente colpito dalla mia abbronzatura a bolle, o forse dallo strano odore che emanava dalla pomata lustra e verdognola che mi ero applicata sulla faccia. Me l’aveva prescritta quella mattina il curandero maya che ero andata a visitare nell’ambito della mia missione di ricerca sulla biopirateria. La missione me l’ero autoassegnata dopo aver letto un sacco di libri di Vandana Shiva e aver deciso che una ricerca sui soprusi della Monsanto era quello che ci voleva per realizzare il mio sogno di un viaggio avventuroso-culturale, novella Bruce Chatwin dei poveri. 
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 La pomata ha resistito intatta agli anni (foto scattate ieri)
Fra le numerose persone che avevo contattato durante le mie ricerche preliminari, l’agronomo Sergio mi era sembrato il candidato ideale per farmi da guida nelle mie ricerche. Abituato a fare a meno delle comodità della società dei consumi, Sergio viveva in una casa senza telefono, e per rintracciarlo dovevo ricorrere alla posta elettronica e poi aspettare che lui leggesse il mio messaggio al ritorno da una delle sue frequenti spedizioni nella Selva Lacandona. Un’altra possibilità era quella di attraversare la cittadina, immergendomi in quella festa di colori, case viola e gialle, rosse e verdi, fucsia e blu, la cattedrale gialla e rossa che sembrava una torta, fino a raggiungere la porta di casa sua, dove lui non c’era mai, ma la porta era tanto bella, dipinta di verde brillante, con una fessura dove infilavo i bigliettini per pianificare il complicato incontro successivo che regolarmente, per una ragione o per l’altra, andava sempre a monte.
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Chiapas: un viaggio semiserio/2 La cattedrale

(2/Continua)


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