Ultimamente la francese Chicaloyoh (vero nome Alice Dourlen) ha girato parecchio il mondo per suonare (ahimè, poca Italia). Ottima scelta, ha fatto bene, anche perché di canzoni e uscite discografiche da far ascoltare ne ha accumulate e prodotte molte, alcune anche di ottima fattura. Poteva sembrare che avesse staccato la spina, ma non sa che esiste qualcuno che la pedina musicalmente quasi dagli esordi, e che non potrebbe mai smettere di seguire passo dopo passo i suoi movimenti. Torna dunque dopo quasi due anni di assenza con Les Sept Salons, un breve ep di tre canzoni, successore di Folie Sacrée (sempre Shelter Press come etichetta), che condensava un’affascinante miscela di formule magiche sature di esoterismo, magia eterea celtica e alchimia da Conte di Cagliostro. Qui la sua psychodronica si è, per così dire, un pochino ammorbidita (sto pensando alla sublime “The Skeleton” dell’album precedente), il che significa meno sofferenza, più leggerezza, qualche nuvola di zucchero filato, delizie normanne al beurre salè e perfino qualche sentore di arabeschi al sapor di pistacchio e mandorle (“Prosternation Interieure”). Come fosse una freccia di Cupido, poi, quel che colpisce è il vellutato equilibrio tra la voce e quell’organetto dai suoni allungati e dal retrogusto malinconico, che produce un effetto fascinoso e onirico (“Jeune Fille”). Ho avuto la fortuna di beccare un suo concerto a Torino presso il Bunker, e ogni volta che riascolto qualcosa di suo, ripenso a quella sera e rimango sempre sbalordito da quanto sia esattamente simile alla versione dal vivo: credetemi, se avete un’occasione in zona, andate (poi è anche un bel vedere, eh). Nel frattempo, nell’attesa che le inquiete home-recordings di Paroles Creuses trovino un’edizione vera e propria (magari in cassetta non sarebbe male), apriamo e gustiamo questo barattolino di miele mille fiori.
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