Ecco, ogni volta lo sforzo lo faccio e cerco di autoconvincermi che chi vi partecipa sia portatore di pace e di fraternità. Ma a me le celebrazioni in pubblico di riti religiosi di gruppo o l’osservazione di pratiche di preghiera individuali mettono a disagio. Chiaro che la processione con la cassa e le prefiche più che essere allarmante la trovo lugubre, perché in realtà è il connubio tra giovinezza e credo (per non dire integralismo) che mi fa rabbrividire. Anche se, in tutta onestà, devo ammettere di trovarmi in disaccordo con qualunque crocchio di persone intento a seguire i propri ideali indipendentemente dall’ambiente circostante quando tali ideali sono diversi dai miei. Voglio dire, assistendo qualche giorno fa a un incontro di fanatici giocatori di ruolo di non so quale gioco, di fronte a tanta gioventù emaciata e deviante, ho quasi rimpianto le compagnie che un tempo si dedicavano con meticoloso spirito autodistruttivo all’eroina. Ma, ancora in ambito fantasy e tornando ai credenti, trovarsi a fianco di una distinta pendolare sui venticinque anni che, al posto del libro del Connelly o Ammaniti di turno, legge e sussurra a bassa voce il Terzo Mistero Doloroso, quello dell’incoronazione di spine, alternato al consueto check dei messaggi in arrivo sul BlackBerry. Oppure veder una ventina di studenti del Politecnico che si riuniscono sotto un portico dell’università a una certa ora del giorno per recitare non so quale preghiera tutti insieme, beh, mi fa pensare al peggio. Tipo qualcuno che si fa esplodere, o esagitati con forconi e torce che piantano crocifissi in aula magna e così via. È che non inizierei mai la mattina con il rosario, tantomeno riunirei tante persone intorno a me in pubblico, se non per un brindisi. Ma nessuno mi dà retta, e il mondo continua a scendere irreversibilmente la sua china.
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