tra il riso e il pianto
Chiedo scusa al Dio di Isacco, Abramo e Giacobbe, ma alle prime pagine ho riso. Ma proprio riso.
Quando non obbedivamo a quanto ci aveva comandato non gli piacevamo. Ci odiava. Certi giorni ci odiava così tanto che ci uccideva. A volte lasciava che gli altri ci uccidessero. Quei giorni noi li chiamiamo “giorni di festa”.
Chiedo anche scusa al Dio dei cattolici (alla cui schiera appartengo)(cioè: appartengo alla schiera dei cattolici, non a quella degli dei), e prometto che fino a Pasqua non mangerò più nemmeno un pezzo di cioccolato. Questo dovrebbe mettermi in pari con le 268 pagine del libro e salvarmi l’anima. Tenendo anche conto che non ho riso a tutte le pagine, anzi, da un certo momento in poi mi sono anche intristita, perché una vita così invasivamente controllata da un Essere Superiore che ti osserva qualunque cosa tu faccia; una vita dove se fai una cosa piacevole è solo per far dispetto all’Essere (e allora, che piacere è?); una vita dove una moglie (io mi sono messa nei panni della moglie) si trova un marito che ogni giorno deve fare gli scongiuri, o gli spergiuri, o dei movimenti strani per chiedere perdono di quello che ha fatto detto pensato immaginato al lavoro o lungo la strada; una vita dove a ogni cosa bella ti immagini morte dannazione e distruzione per compensare il buono (Che Non Ti Meriti!); una vita così, insomma, deve essere una tristezza immane. Anche se Auslander ne approfitta per scriverci 268 pagine. Perché noi siamo cattivi e lui lo sa.
E siccome anch’io sono cattiva (potrei, per compensare, non mangiare cioccolato anche una settimana dopo la Pasqua?), siccome sono cattiva, più questo immaginava morti e disgrazie più mi veniva da ridere. Epperò, diciamolo, anche un po’ da stufarmi, perché anche le disgrazie degli altri ti divertono se sono dosate. Queste non sono dosate. Qui anche quando va tutto bene, sembra che vada tutto male. O che andrà tutto male. Si ride. Ci si stufa (piantala, Auslander, raddrizza la schiena e comportati da persona nor-ma-le!). si cerca la storia, che c’è. Minima, quotidiana, ma nascosta tra le pieghe della patologia dell’autore (che per certi versi è solo un pazzo ripetitivo) (Auslander, fatti una ragione di quel che succede!). Si pensa che si sta leggendo un libro che è una bestemmia unica (ok, non mangerò più cioccolata fino a maggio compreso). Ci si dissocia (capiamoci, o Dio, il libro parla del Dio degli ebrei, quello dell’Antico Testamento, io in fondo non c’entro, no?). Alla fine si ride di nuovo. Perché Auslander (come sconto dei suoi peccati dovuti alle 268 pagine bestemmiatorie) chiede la morte (eventuale) di editor, editore e compagnia, pur di risparmiare figlio e moglie. E in più ci guadagna. Se tanto mi dà tanto, al prossimo romanzo (che – sono sicura – parlerà ancora di questa questione) Auslander, nei saluti finali, chiederà perdono a Dio di quello che ha pensato e detto, e gli chiederà di non ammazzare la sua famiglia. In cambio, gli dirà che può però ammazzare noi lettori (dopo che abbiamo comprato il suo nuovo libro).