Pezzo d’arte che trae spunto da un fatto riconosciuto e conclamato: lo sterminio dei cani randagi di Costantinopoli. Correva l’anno 1910 e le autorità del posto, scocciate dalla capillare presenza degli animali in città, decisero di fare piazza pulita: non uccidere, bensì catturare quanti più cani si riusciva per gettarli come rifiuti su uno scoglio in mezzo al mare. La traiettoria è chiaramente dal particolare al generale perché quello che in superficie si mostra come un evento secondario richiama a sé l’eco malvagia del fango Storico, di quegli accadimenti che fanno sorgere dubbi sull’integrità morale/civile/sentimentale della nostra razza. Ancora chiaramente la deportazione dei cani si trasforma allora nelLa Deportazione tout court, e in automatico viene chiamato in causa il tumore del Potere, qui impersonato da una triade di fantocci, che perpetra il sopruso con razionale sadismo: basta chiudere la finestra per impedire che i lamenti arrivino fino alle loro orecchie. Se a parole una tale rappresentazione dell’abominio può suonare didascalica, il consiglio è di gettarsi a capofitto nel paesaggio filmico che guarnisce e ingemma i contenuti.
Perché dal punto di vista illustrativo Chienne d'histoire (2010) è un tesoro che Serge Avedikian, uno che di mostruosità ne sa qualcosa visto che i suoi genitori sopravvissero al Genocidio armeno, schiude con perizia lasciando intravedere un luccichio ammaliante; è potente l’alternanza tra campi totali così dettagliati da sembrare delle diapositive colorate, e gli atti narrativi della storia in cui gli acquarelli rendono imprecisi tanto i contorni quanto i pieni, sicché tutti i cani divengono chiazze omogenee, una traduzione precisa di quello che sono per gli occhi dei potenti: macchie da debellare, ergo: una città da “decanizzare” e renderla candida come lo sono le grandi città europee. Avedikian espone il prezzo di un sacrificio inutile che pur essendo altissimo viene completamente ignorato: di fronte al latrato di esseri viventi agonizzanti, mangiati dai corvi e costretti a mangiarsi tra di loro, il piccolo uomo si tappa le orecchie.