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Chilometri zero.

Creato il 28 gennaio 2014 da Vilipendio
Chilometri zero.Words & Music piangeva sempre, tutte le volte che andava a quel funerale. O quantomeno, di piangere aveva voglia sempre. Sempre lo stesso funerale. Cause diverse. Un banale incidente, normale anzianità. Un lungo male. Tutte le volte era come fosse la prima.
C'era da domandarsi come potesse ripetersi, quella spiacevole celebrazione. Come poteva, una sola persona, morire così tante volte, e regolarmente? Non siamo mica in un cartone animato. Per esempio, non c'era proprio niente da ridere.
Il povero Words, fuori sempre composto, si disperava internamente. Si sceglieva i vestiti, distratto ma preoccupato di non sembrare abbastanza rispettoso, indossando livree fuori ordinanza. Lottava coi tempi. Ogni volta di corsa, ma alla fine ce la faceva sempre. Si chiedeva se avrebbe pianto, visto che certe volte piangeva, certe altre no. Anche quando piangeva, le lacrime erano sempre educate. Mai fluenti o incontrollate. Words si controllava perfino in quelle circostanze. Il controllo è tutto. Senza controllo, rischi di vederti celebrare i funerali. Neanche uno solo a questo punto.
Avrebbero visto nelle sue lacrime, gli altri, la testimonianza del suo dolore? Quel dolore c'era, come dubitarne. Ma pareva acquattato in qualche anfratto. Le lacrime quando c'erano, erano il frutto di una decisione cosciente. Impossibile che un malloppo tale generasse precipitazioni di così pochi mm.
Ai fini della storia, non è importante specificare chi fosse il caro estinto. O la cara, estinta. Ciò che conta è che era una persona che Words da molto tempo non era più abituato a frequentare.
Ma era lo stesso una presenza costante. Un riferimento fondamentale. Per un sacco di cose. Un umorismo insuperato. Cinico e cattivo. Spietato come pochi. Ma proveniente da un'indole di dolcezza, chiara e imbarazzata; e quindi, non solo giustificato, ma ancora più prezioso. Nessuno, tra i suoi conoscenti, era mai stato alla sua altezza. Qualcuno, ogni tanto, pareva avvicinarsi a certi aspetti di quella. Ma poi scappava, come spaventato dal confronto. Da un bastione che da sotto si rivelava inespugnabile.
Words sapeva che quella sintonia era ricambiata. Anche lui era cinico. Anche lui la faceva ridere. Né di più, né di meno.
Era quello il bello. Non c'era rivalità né competizione, nel provocare risate. Solo il desiderio di poter essere sé stessi in modo dirompente e fino in fondo, ora che ci si era incontrati.
A lungo Words si era chiesto se ne era innamorato. A volte addirittura si chiedeva se anche lui l'avesse fatta innamorare, quella persona. Se lo chiedeva distrattamente, come in dormiveglia, perché era talmente bella che non poteva essere stato lui a espugnarlo fino in cima, quel bastione.
Quando si faceva quella domanda, non poteva dubitarne. Anche se da tanta altezza, quell'intensità di ridere, e di guardarlo dopo aver riso, quella era inequivocabile. Perfino per uno come lui.
Si erano persi. Crescendo, come sempre avviene. Sai, tutte quelle cose. Gli impegni, gli interessi divergenti. Le circostanze. La geografia.
L'aliasing inderogabile che inquina tutto e sempre. Tutto ciò che conta per davvero.
Da piccoli si scrivevano lettere lunghissime, quando di surrogati elettronici non si parlava ancora. Quando parlare per telefono era anomalo e imbarazzante. Come dovrebbe essere anche adesso. Finché non si rincontravano. E ci riuscivano sempre. Ogni anno. Senza sforzarsi affatto.
Da grandi, invece. Si erano ribeccati, qualche volta. Con altri amici. Coi rispettivi compagni. Coi parenti. Mai da soli. Si sorridevano, si vedeva che si erano simpatici, e che si erano cercati nuovamente. Ma non era più lo stesso.
Adesso, erano diversi. Lo scoprivano ogni volta. Nonostante questo, continuavano a incontrarsi. Incontri rari, ma regolari. Sai, quant'è brutto ammettere che non è più la stessa cosa? Niente ti fa fuggire via a gambe levate più di quello, non è vero? Eppure, non fuggivano. Questa è la misura che dovrebbe renderti conto di quanto si ritenevano fondamentali.
Prima del primo funerale, Words aveva fatto in tempo a dire in faccia a quella persona che per lui quello era il rapporto più importante che avesse mai avuto. Aveva fatto quel passo alle prime avvisaglie delle cause che avrebbero prodotto il primo dei funerali. Era stato un giorno in cui si erano visti, in un posto anomalo per lui. Le cose sembravano andargli bene, in quel periodo. L'aveva cercata, le aveva detto che si sarebbe recato per un caso nella sua città. Si erano incontrati. Con altri presenti, tanto per cambiare. Ma poi erano rimasti da soli. Lui l'aveva accompagnata alla macchina. Già si respirava un'aria da funerale, anche se le cose sembravano andar bene. Così, glielo aveva detto. Si era stupito di non provare il timore consueto. Di stupori, aveva registrato non solo il suo. Aveva registrato un serissimo 'Anche per me'.
Poi, era cominciato il ciclo di quelle morti.
La cosa che più lo abbatteva è che prima o poi sarebbe stato raggiunto in età. Quell'anno di differenza che avevano sempre avuto si sarebbe risolto a suo vantaggio, e da allora il più grande sarebbe stato lui. Chissà di quanti altri ancora, di anni. Anche quella, poteva essere una preoccupazione (a na certa sarebbe morto pure lui, nel senso).
Che merda. È tutto inutile. Normale vacuità. Orrore lacerante. Words & Music non si gode mai quei rari attimi di vita, tra un funerale e l'altro. Sembra non rendersene conto, come in un sogno, se non per l'arrivo del nuovo telegramma. Dal suo ordinato e perentorio angolino bordato di nero.
Ogni nuovo funerale lo sveglia da quel sogno. Si chiede 'Ma perché non mi sono più fatto vivo, prima che morisse di nuovo?'
E soprattutto, perché non si è fatta viva lei, l'altra persona? Certe morti sono improvvise, certe altre no. Proprio per questo, possono essere imbarazzanti, da mostrare mentre avanzano. Ma poteva scrivergli, dio mostruoso, un'ultima lettera postuma. Che lui avrebbe letto vomitandosi il malloppo di lacrime. Sfrenato e incontrollabile. Senza più argini che potessero imbrigliarlo.
Ma era sicuro, Words, di desiderare quel messaggio? Non lo avrebbero poi liquefatto, quelle lacrime? Non sarebbe poi morto del tutto, dopo aver letto un suo messaggio senza aver possibilità di repliche e di abbracci
scomposti e forsennati, come dovrebbe essere ogni abbraccio depennato finalmente di ogni convenzione?
Words poteva ben vedere che sarebbe morto, leggendo un messaggio di quel genere. Ma ciò che lo tratteneva dal desiderare quel messaggio non era la paura della morte, per quanto perentoria e definitiva.
Era che certe cose non si possono leggere. Non si possono scrivere. Non si possono suonare, o dipingere, o cantare. A meno di non mascherarle vigliaccamente e bene. Devono invece essere dette, pronunciate. Urlate calme e in faccia. Lui l'aveva fatto, quell'unica volta. Ma il pensiero non gli dava alcuna consolazione.
Non si erano detti, non si erano fatti. Non si erano amati e non si erano odiati. Si erano dati l'un l'altra (persona) solo in una piccola percentuale legale. Superarla, avrebbe comportato gli arresti.
Non si fa. Non è bene. Non è prudente e non è delicato. Non è ducato. Quando ricordava tutto questo, Words avrebbe voluto stringere tra le mani i crani teneri di mille infanti, fino a farli esplodere in mille schegge porcellanee, liquefacendo globi oculari e cervelli. Con le mani tagliate si sarebbe schiaffeggiato fino a uccidersi. Quanti schiaffi ci vogliono, per uccidere un uomo? Milioni? Miliardi? E se è quell'uomo stesso, a schiaffeggiarsi, riesce a uccidersi? O a un certo punto l'istinto di sopravvivenza gli impone di fermarsi? Avrebbe proprio voluto vederlo, quel suo istinto inopportuno, a imporgli di fermarsi. Sarebbe allora riuscito a ridere, per un'ultima volta.
E adesso, cosa rimpiangeva di quella persona? Cosa rimpiangeva per davvero?
Da tempo non faceva parte del suo quotidiano, quella persona. Non poteva quindi sentirne davvero la mancanza. Ma la sentiva. Capricciosamente, e perentoriamente. Cosa avrebbe fatto, con quella persona ancora viva?
Non lo so. Gli avrebbe fatto vedere chi era ora. Senza più filtri, né inibizioni. E chi era lui, ora? C'era davvero qualcosa da esibire? Forse barlumi. Ogni tanto, Words aveva dei barlumi di cui era fiero. Quei barlumi li produceva anche per lei. Se ancora ne aveva, di barlumi era a lei che li doveva. Perché lei, quella persona, sarebbe stata forse l'unica capace di apprezzarli.
Le persone, ai funerali, avevano comportamenti che Words&Music non si poteva bene spiegare. Erano tristi o disperate, chi di più, chi di meno. Certamente tutte serie. La misura del dolore è nei metri lineari che separano il sofferente dal feretro durante la funzione. Meno ce ne sono, di quei metri, più il dolore è palpabile. Sia quando composto, sia se manifesto.
A iutarlo, non c'era alcun indizio. Spesso ai funerali deduciamo i protagonisti dal cordoglio ch viene loro espresso. Tutti avevano da presentarne, molti avevano da riceverne. Lui, né l'uno né l'altro. Perché nessuno ne presentava a lui? Assurdamente, del cordoglio esistono lunghi elenchi. Collezioni di frasi, da copiarsi nei fumetti alla bisogna. Prova a cercarli, se non mi credi. Ti stupirai di quanto dolore in meno c'è, rispetto al percepito.
E sì che si sapeva, dovevano saperlo! quanto lui fosse intimo della Persona. Nel passato e adesso. Perché non l'avevano messo nella panca più vicina?
Non riusciva a capirlo, quel morto per distrazione. Dimenticava di viversi, capisci? Non poteva calcolarsi i suoi, di metri. Non vedeva né metri, ne chilometri. Erano entrambi mmensurabili, per quel morto di sbadataggine.
Perché lo zero non esiste.

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