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Chiocciola

Creato il 31 agosto 2011 da Violentafiducia0

Spalanchi le porte della stanza. Ti seguo dentro, muri bianco sporco, soffitti altissimi, stucchi. Non ti chiedo dove siamo, non ti chiedo come abbiamo fatto ad arrivare qui. Sono con te, mi basta. Ti siedi sul divano, è logoro, mi siedo al tuo fianco, ma in modo che nessuna parte del mio corpo tocchi alcuna parte del tuo corpo, nemmeno per errore. Il divano si adatta al nostro peso, si sforma. Parliamo di letteratura, delle solite cose, e per l’ennesima volta mi sembra uno specchio che usiamo per nasconderci, per riflettere quello che siamo attraverso qualcosa che non ci appartiene. Tengo in mano dei fogli che servono a schermare la paura. Mostrarsi e non svelarsi. Conoscersi e negarsi. Ma a me non interessa la letteratura, non mi interessano le solite cose, mi interessa il tuo corpo sottile e allungato, mi interessano il tuo torso nudo e i tuoi capelli.

Mi avvicino finché il mio ginocchio non tocca il tuo. Non so cosa pensi, non so perché sei qui, non so perché siamo insieme sullo stesso divano, tu col petto nudo e cavo e io con le gambe scoperte. Non parli, mi guardi, mi distraggo guardando le finestre alte che sfilano a coppie sui muri laterali della stanza. Non ti vedo finché non ti avvicini toccandomi il braccio con la spalla, la coscia col ginocchio, la caviglia con la caviglia, finché non ti pieghi su di me e il tuo corpo diventa il guscio chiuso sul mio corpo molle. Allora accosto il naso ai tuoi capelli chiari, provo a sentire l’odore dei tuoi pensieri. Ma non hai odore e non hai pensieri.

Ci alziamo dal divano e usciamo in giardino. Accendi una sigaretta e in quel gesto le nocche si sollevano sotto la pelle. Non ho mai provato interesse verso i corpi magri, preferisco i polsi larghi, le pance, l’irriverenza della carne. Ma il tuo corpo ha uno splendore inaudito, tende verso il cielo, nega la gravità. Mi chiedi se mi piace il giardino, ti dico di sì, mi piace, e mi piacciono le piante dalle foglie larghe. Dici che lo immaginavi e io non capisco. Parli poco, sei un uomo misterioso e io odio gli uomini misteriosi: hanno parole sempre misurate e sempre giuste. Io mai.

Dall’altra parte della strada una signora anziana sta dando un ricevimento in balcone. Il balcone è pieno di gatti e una domestica serve fette di crostata e sigarette. Mi giro per chiederti chi sia la tua dirimpettaia ma non ci sei più. Ti chiamo per nome, inciampo nel tubo d’irrigazione graffiandomi la gamba.

Tu non rispondi.

Non ti cerco. Aspetto. Aspetto finché non mi chiami. Non mi chiami. Apro la porta di tutte le stanze. Tutte le stanze sono strette e hanno soffitti altissimi. Tendono verso il cielo. Negano la gravità. Non ti sto cercando. Sto cercando di misurare i pavimenti di queste stanze, che hanno foglie strette e fusti lunghi. Come le tue dita. Come i tuoi palmi. Come il tuo corpo su cui vorrei arrampicarmi, tendere verso il cielo. Non ti chiamo. Apro le porte. Continuo solo ad aprire le porte di questa casa grandissima con giardino. Quando ti trovo sei magnifico nella tua indifferenza. Divori il mio fiato corto, come se potesse nutrirti. Ti fai guscio ancora e bava molle il mio corpo.

Oggi sei il mio voto, il mio disastro gentile, il mio risveglio.
Oggi è solo il tuo calore che voglio ricordare.



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