In parte, lo aveva già raccontato qui. E’ la storia del primo anno di insegnamento della ‘povna, in classe senza passare dal via, da vincitrice di concorso, con zero minuti di esperienza sulle spalle – a sei giorni dall’11 settembre e pochi mesi dalla Diaz. Con loro, quella terza, fu amore a seconda vista. Che bruciò dai due lati di una candela folle per i pochi mesi che trascorsero tempestosamente insieme. Si amarono con l’arroganza privilegiata dell’adolescenza e dei vent’anni, mentre la distanza anagrafica tra loro, già risibile, si appiattiva ogni giorno un po’ di più. Si amarono partecipando a concorsi (e vincendoli) per i quali rimanevano ore e ore al pomeriggio, senza pensare ai crediti, just for the sake of it. Si amarono studiando Dante, del quale impararono a memoria pezzi e pezzi, così, senza parere. Si amarono durante l’occupazione, mentre loro ascoltavano Bob Marley, e la ‘povna passava in corridoio, con anfibi e pantaloni molli, maledicendo il ruolo che la costringeva (almeno quello) a guadagnare mesta la sala professori. Si amarono parlando (molto) di politica, della quale approfondivano le novità ogni sabato, dopo la visione di quello che era ancora un bravo giornalista, al Raggio verde, e guardando con curiosità (che sarebbe stata delusa, come molte) all’esperimento-Cofferati.
Si amarono, e basta. E quando la ‘povna andò via prima del tempo, a maggio (per colpa di una borsa di studio che aveva aspettato tanto, ma che adesso non aveva più così voglia di festeggiare) si fecero, come usa, promesse eterne. Si regalarono libri, parole e musica. E poi si avvolsero in un complicato silenzio, perché quando ci si abbandona ai sentimenti spudorati, senza filtri, certe cose poi sono difficili da digerire.
Il tempo, per fortuna, attenua tutto. E così con alcuni finirono per reincontrarsi. Nel frattempo la ‘povna era tornata nella scuola dove tutto era cominciato, quel 17 di settembre (dove aveva chiesto di essere ritrasferita in nome loro, e sotto la saggia egida di Snape). E così – grazie ai treni, alle stazioni e al canale telematico – almeno Blasko, Nastenka e l’Utopista ritornarono a intrecciare con lei racconti e opinioni.
L’altro giorno la ‘povna, di ritorno dal giro treni con cui ha celebrato la fine del letargo, si è trovata così nella città della stazione nota, come sempre. Da dove, uscendo sulla sinistra, si è diretta a piedi (e sotto uno dei tradizionali caldi torridi) verso la facoltà di architettura. Lì si svolgeva, infatti, la seduta di laurea magistrale dell’Utopista, che ha spiegato a una folla attenta il suo progetto di luce e pietre, sulla valle. Un progetto di rivisitazione del paesaggio, che mette insieme, con rara vis comparatistica, anche un bel po’ di cinema, di storia e impegno, e di letteratura.
La ‘povna lo ha guardato spiegare tutto, mentre ascoltava quella voce ormai adulta (e di un’età così vicina a quella che aveva lei nel loro primo incontro). Ovviamente, si è commossa. E poi ha provato ammirazione, orgoglio, ma soprattutto gratitudine. Perché è raro che lo sceneggiatore, malizioso come sempre, ti conceda di chiudere davvero un cerchio. Eppure, era quello che stava succedendo in quel momento. E la ‘povna conserva l’illusione, un po’ caparbia, di saper riconoscere, all’occorrenza, un privilegio della trama.
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