Chiudono i centri antiviolenza, l’Italia non è un paese per donne

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Siamo il paese in cui solo nel 1996 lo stupro è stato riconosciuto dalla legge italiana come un crimine contro la persona e non un crimine contro la moralità pubblica e il buon costume.

Siamo il paese in cui solo dal 1996 l’incesto è considerato un reato contro la persona e non contro la morale familiare.

Siamo il paese in cui fino al 1981 è rimasto in vigore l’articolo 544 del Codice Rocco, quello che legittimava il “matrimonio riparatore”: un uomo accusato di violenza carnale, anche su una minorenne, poteva estinguere il proprio reato semplicemente sposando la vittima.

Siamo il paese in cui i centri antiviolenza chiudono uno dietro l’altro, come se il loro lavoro fosse superfluo. Siamo il paese in cui lo stato, invece di aiutare le donne in difficoltà, chiude gli occhi per non vedere.

Lo scorso 19 luglio i centri antiviolenza avevano organizzato una manifestazione di cui non ha parlato quasi nessuno.

Pubblico il comunicato stampa che la dottoressa Alessandra Bagnara, presidente di Donne in Rete contro la violenza, ha diffuso e inviato al ministro Carfagna.

“Quello che era stato annunciato lo scorso novembre nella conferenza stampa pubblica presso la Casa Internazionale delle donne di Roma da parte dell’Associazione nazionale D.i.re (Donne in rete contro la violenza) che gestisce 58 centri antiviolenza in Italia, sta diventando una realtà: uno dopo l’altro chiudono i battenti i centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio nazionale, soffocati dai debiti per i tagli e per l’assenza totale di finanziamenti già stanziati, nel silenzio assoluto di mass media nazionali e senza alcun intervento da parte delle istituzioni per salvare strutture che da anni sostengono  donne e minori vittime di ogni tipo di violenze. Malgrado le donne continuino a essere stuprate, maltrattate e uccise, e malgrado l’aumento della violenza domestica sia ormai accertata in tutta Europa, il Governo e gli Enti locali italiani continuano a tagliare fondi su un problema che non è né individuale né di sicurezza ma collettivo e di informazione, e su cui lo stesso Parlamento Europeo ha dato chiare direttive sul sostegno degli Stati Membri alle Ong che gestiscono i centri antiviolenza attivi sul territorio.

A VITERBO

il centro “Erinna” si è visto revocare il suo mandato, rinnovato per tre anni nel 2009, un anno prima della sua conclusione, febbario 2012, dal Presidente della Provincia, Marcello Meroi, che pur essendo andato a verificare di persona il centro, ha fatto sapere che sarà indetto un bando per permettere anche a altre organizzazioni di partecipare, senza però preoccuparsi né di far concludere il lavoro al servizio già presente sul territorio e senza preoccuparsi del buco che l’utenza avrà nel periodo di transizione che vedrà spazzato via anni di lavoro e di esperienza sul campo.

A MESSINA

dove le feste e le sottoscrizioni non bastano più a colmare un sistema  in cui gli enti locali sono ormai bloccati e non finanziano più niente a nessuno, e dove le donne violentate e maltrattate vengono considerate secondarie rispetto a altri problemi  presenti nel territorio.

A BELLUNO

dove non esiste una legge per i centri antiviolenza e dove anche la casa rifugio è stata chiusa e dove i progetti per i bambini vengono finanziati da privati.

A CATANIA

dove ormai si vive alla giornata in quanto gli enti locali fanno finta di non riconoscere il problema, e dove già nel 2007 è stata chiusa la casa rifugio.

A ROMA

dove il Centro Lisa non ha più i soldi per pagare l’affitto ed è sotto sfratto perché l’Ater non riconosce lo scopo sociale della onlus e quindi non dà la possibilità di riduzione del canone malgrado la tipologia di lavoro che viene svolto.

A COSENZA

dove l’anno scorso è già stata chiusa la casa rifugio e dove si attende l’esito del bando regionale che è stato presentato dopo un periodo di assenza totale di qualsiasi sostegno pubblico.

A GORIZIA

dove i finanziamenti sono stati drasticamente tagliati.

Per questo chiediamo alle Istituzioni e alla Ministra Mara Carfagna che fine ha fatto il Piano Nazionale contro la violenza di genere e soprattutto dove sono i 18 milioni di euro di stanziamento che dovevano essere redistribuiti sul territorio nazionale e gestiti da parte del Ministero delle Pari Opportunità, e chiediamo ai media nazionali di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che tra non molto le donne che hanno subito violenza o che per anni hanno subito maltrattamenti, violenze psicologiche, economiche e vessazioni, non avranno nessun sostegno, né psicologico né legale, e nessuna possibilità di recupero in un Paese che non ritiene necessario il servizio e l’esistenza dei centri antiviolenza.”

Dr.ssa Alessandra Bagnara, Presidente D.i.Re, Donne in rete contro la violenza



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