Chiuso Silk Road, cosa resta della moneta virtuale bitcoin?

Creato il 04 ottobre 2013 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM

Negli Stati Uniti questa è stata la settimana dello shutdown. Oltre al governo federale, però, negli USA ha chiuso anche un sito Internet – e che sito: Silk Road, praticamente l’eBay della droga, dove era possibile acquistare in forma anonima sostanze stupefacenti e psicotrope, ma anche documenti falsi, trojan bancari e account trafugati su Netflix o Amazon.

Arrestato anche il fondatore, il 29enne Ross William Ulbricht, con l’accusa di cospirazione nel traffico di narcotici ed altri gravi capi di imputazione. Secondo l’FBI, Silk Road aveva un giro d’affari illegale pari a 1.2 milioni di dollari in bitcoin e commissioni per 80 milioni di dollari in meno di tre anni.

A fare le spese del suo oscuramento è stata, per l’appunto, anche la moneta virtuale bitcoin, il cui valore è sceso di oltre 30 dollari (da 141 a 109,7) in un giorno, per poi stabilizzarsi a quota 125.

Un approfondimento sulla bitcoin (da leggere per intero) si trova su Limes, di cui segnalo questi passaggi:

Di sicuro, il nuovo conio lancia una sfida importante al concetto tradizionale di moneta, fondato sulla fiducia tra le due parti che stabiliscono il rapporto. I cittadini credono nelle capacità del governo e della banca centrale di garantire il perfetto funzionamento dei meccanismi monetari e le istituzioni, a loro volta, si impegnano a far sì che la valuta venga accettata, rispettata, convertita ed efficacemente salvaguardata in tutto il territorio in cui è valida. Dietro le sovrastrutture – legislative e non – insomma, c’è una questione di valori forti.

Ebbene, come sottolinea efficacemente Felix Salomon, giornalista finanziario della Reuters, bitcoin, partendo da una concezione più individualista dell’essere umano, ha rovesciato completamente i presupposti di quella relazione e ha basato il suo intero sistema sulla sfiducia anziché sulla fiducia. La moneta infatti ha un profilo di sicurezza molto alto, a garanzia degli utenti, e prevede unicamente scambi virtuali tra le persone.

Bitcoin ha catturato l’interesse degli utenti più diversi della rete: anarchici, libertari e utopisti uniti dalla simpatia verso un mezzo che ha scardinato una realtà consolidata attraverso un meccanismo (o un dogma) pluricentenario. La trasparenza e la condivisione del sistema sono poi garantite, perché il progetto è in open sourceossia pubblico, quindi migliorabile da chiunque. Una sorta di Linux bancario.

La vera novità è la struttura di controllo del denaro. L’esperimento di Sakamoto, infatti, non risponde a nessuna banca centrale o a politiche monetarie. Le regole però ci sono. La quantità totale di moneta è fissata a 21 milioni, attualmente ne circolano 11, per un valore di mercato complessivo di 1.87 miliardi di dollari, al prezzo di 112.60$ (10 maggio). Krugman l’ha definito “un gold standard privato”, riferendosi al sistema economico – utilizzato prevalentemente nel XIX secolo da diversi paesi – in cui il valore della moneta è ancorato a una quantità di oro fissata.

Poiché l’ammontare totale della moneta è fissato, se la domanda sale – e la quantità non può essere incrementata – aumenta anche il prezzo. Allora, per chiunque detenga bitcoin e stia puntando sulla loro futura vasta popolarità, sarebbe folle spendere ora, come puntualizza James Surowiecki sul Mit Technology Review.

Nonostante gli entusiasmi, su questo strumento persistono delle perplessità, non solo di natura economica. Infatti, la creazione di moneta è affidata all’elaborazione di computer (responsabili del cosiddetto mining, che avviene a ritmo progressivamente decrescente), ma non c’è regolamentazione e l’Fbi sul tema ha dichiarato che “costituisce una violazione della legge federale per gli individui…creare una moneta privata o sistema di valuta che competa con il conio e la valuta ufficiale degli Stati Uniti”.

Per due anni l’utilizzo – e il valore – della moneta virtuale sono stati indissolubilmente legati alle sorti di Silk Road. Cosa cambia ora che questo cyber bazaar non c’è più? Secondo l’Huffington Post:

In molti sostengono che da adesso in poi chi è interessato a investire sui bitcoin, che in questi mesi sono diventati un vero e proprio bene rifugio elettronico, farebbe bene a tenere d’occhio l’andamento della moneta internettiana. È ipotizzabile che l’effetto Silk Road spinga nelle prossime settimane i possessori di bitcoin a sbarazzarsi della divisa. Un’impennata delle vendite porterebbe a un abbassamento del valore dei gettoni digitali. Ma, una volta impoverita, la valuta (che libera dalla scomoda “parentela” con Silk Road dovrebbe aver modo finalmente di acquisire una maggiore credibilità) potrebbe richiamare l’interesse di nuovi investitori pronti a scommettere su di lei. In pratica, un flashback.

Ciò a cui potremmo assistere, nel caso la moneta continui a perdere valore in seguito al sequestro di Silk Road da parte dei federali, e all’ondata di panico che sta investendo i detentori della crypto-valuta, ricorderebbe da vicino quello che è avvenuto nella prima parte di quest’anno, quando i gettoni peer-to-peer hanno visto il proprio valore aumentare in maniera esponenziale, al punto da arrivare a valere 250 dollari.

Silk Road aveva visto la luce nel 2011. In due anni era diventato il sito di e-commerce più gettonato del Dark Web, al quale si poteva accedere solo tramite Tor, il browser per la navigazione anonima in Rete. Fatturava, secondo la rivista Forbes, a cui in passato Ulbricht ha anche rilasciato un’intervista, circa 40 milioni di dollari all’anno, grazie a una commissione del 10% sulle transazioni effettuate. In tutto, stando invece alle autorità Usa, il sito illegale avrebbe generato un volume di vendite pari a 9,5 milioni di bicoin, ovvero più di un miliardo di dollari. Una bella somma, considerato che i bitcoin in circolazione oggi come oggi sarebbero in tutto 11,8 milioni. L’Fbi, messe le mani su Ulbricht, aka Dread Pirate Roberts, ne ha sequestrati 26 mila (3,6 milioni di dollari). Lo 0,22 % di quelli presenti al momento sul mercato valutario.


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