La regina Elisabetta I (George Gower, 1588 – Abbazia di Woburn)
Ricco simbolismo in questo quadro. Elisabetta indossa vesti sontuose e raffinate e numerosi fili di perle, che rappresentano purezza e verginità, a esprimere l’iconografia della “Regina Vergine”.
Elisabetta, come sua madre Anna Bolena, era molto amante delle perle e pare che anche l’ultimo regalo del suo amato Dudley fosse un gioiello di perle.
I numerosi fili di collane indossati sono tutti di perle calibrate , cioè tutte dello stesso diametro e forma, fanno presumere un grande valore, in considerazione del fatto che fino al XIX secolo le perle presenti sul mercato erano esclusivamente naturali. Provenienti dal Medio Oriente, dal Golfo Persico, dall’India e dal Mar Rosso, venivano pescate immergendosi in apnea fino al fondale, per raccogliere le ostriche che successivamente venivano aperte per cercare la perla.
Se pensiamo che non si può sapere in anticipo se l’ostrica conterrà una perla e di che dimensioni, una così grande quantità di perle calibrate avrà significato anche un gran numero di “scarti”.
Conosciute in Oriente fino dall’antichità, le perle sono arrivate in Occidente probabilmente portate da Pompeo dopo la vittoria su Mitridate, re del Ponto (63 a.C.), e ben presto utilizzate come merce di scambio. Gli Indiani avevano ben capito quanto i Romani fossero avidi di queste gemme e, astutamente, ne alzarono molto il valore.
Come già accennato, fino alla fine del XIX secolo, le perle erano esclusivamente naturali, anche se, fino dal ‘700, si utilizzavano perle sintetiche: sferette rivestite da scaglie di pesce, dette perle francesi.
Dobbiamo al giapponese Mikimoto la grande intuizione della perla coltivata, anche se già Linneo aveva tentato qualche esperimento che riproduce il processo naturale di deposizione di carbonato di calcio e conchiolina, a formare la perla, abbassando notevolmente i costi.
La formazione della perla all’interno dell’ostrica è sempre dovuta ad un corpo estraneo che va ad interferire con la vita del mollusco, l’unica differenza consiste nel fatto che nella perla naturale il processo è casuale e in quella coltivata è provocata dall’inserimento, da parte dell’uomo, di piccole sfere di madreperla su cui si depositerà il materiale calcareo.
In questi anni ho notato che è grandissima la confusione, in parte dovuta alla cattiva informazione e in parte alla poca buona fede di alcuni commercianti in merito alle perle. A volte, mostrando perle d’acqua dolce, mi sento dire: “Preferisco quelle vere“. Vorrei fare un po’ di chiarezza.
Le perle coltivate provengono dal Giappone e dalla Cina, che è diventata in breve tempo il maggior produttore, con risultati molto soddisfacenti.
Le perle giapponesi, Akoya, sono quelle coltivate con il metodo di Mikimoto, in parte ancora segreto. La loro coltura avviene in acqua di mare, contengono un nucleo di madreperla e, a seconda degli strati di deposizione, hanno più o meno valore.
Le perle cinesi, “Freshwater”, meglio conosciute come perle di fiume, sono coltivate in acqua dolce, nei fiumi ma anche nei laghi. Possono avere nucleo oppure no.
Ci sono poi le perle “South Sea”, marine, con provenienza Australia e Tahiti, di grossissimo calibro.
Perle naturali si trovano anche nei fiumi nostrani e in Europa, ma non si è mai avviata nessuna coltivazione. Una bellissima collana di perle della Baviera è conservata al Museo della Residenz a Monaco di Baviera.
Tutte sono perle vere, perché ottenute solamente con sostanze naturali anche se forzate dall’uomo.
Sono false quelle di Majorica, quelle di vasca, di Parigi, ecc.
Altro criterio di classificazione è la forma.
Perle a goccia, come quelle indossate da Elisabetta nel quadro come ornamento per i capelli, usate spesso per farne ciondoli od orecchini.
Perle barocche dalle forme bizzarre usate molto nella gioielleria dell’epoca barocca, da cui il nome, per dare vita a ciondoli di pregevolissima fattura unite all’oro, agli smalti e alle pietre preziose, in cui la perla rappresenta spesso il corpo di animali o figure antropomorfe.
E poi perle a chicco di riso, a bottone, blister, keshi …
“Gioiello Canning” (Italia 1580 circa) – Londra, Victoria and Albert Museum
I costi? Da qualche decina di euro a filo (cm 40) per le perle cinesi, meno pregiate, alle decine di migliaia per le australiane. Comprate da chi vi dà fiducia e risponde sempre dell’oggetto venduto anche a distanza di tempo. Sulla spiaggia e sui mercatini si trovano spesso Indiani che vi propongono perle e pietre: comportatevi con saggezza, cercando di spendere cifre contenute, limiterete così i danni in caso di merce non proprio di qualità.
Come dobbiamo conservare le nostre perle? Indossatele spesso, perché così allungherete loro la vita, tenendole pulite e cambiando il filo almeno una volta all’anno; non mettetele a contatto con creme e profumi. Io le pulisco lavandole delicatamente, ogni tanto, con i saponi liquidi per il cachemire lasciando asciugare il filo prima di indossarle. Conservatele sempre in un sacchetto di velluto e comunque lontano dai gioielli metallici in oro e argento, che facilmente possono scalfirle.
Quando e come? Sempre, privilegiando le perle tonde giapponesi o le enormi australiane, magari in un filo scalato, per le occasioni speciali e abbigliamento elegante. In tutte le altre occasioni vi consiglio di usare un filo, magari lungo (almeno 80 cm) di perle scaramazze, divertenti ed economiche, molto resistenti .
Come abbinarle? Un po’ in disuso la parure (collana, anello, bracciale, orecchini) è, invece, molto elegante abbinare due pezzi: la collana con orecchini o bracciale e il bracciale con l’anello. Personalmente trovo la combinazione collana e orecchini quasi obbligatoria, cercando di abbinare anche la forma e la dimensione per un effetto estetico molto raffinato. La collana a piccole perle rotonde è bella da abbinare a boccoline ai lobi; la collana di dimensioni maggiori sta bene con le perle più grosse, anche a goccia. Con le perle scaramazze sicuramente un orecchino pendente che riprenda la forma ed il colore della collana.
Regalarle? Bella tradizione il filo che la madre regala alla figlia diciottenne, ma, in altre occasioni, fate attenzione a chi le regalate perché i superstiziosi dicono che portino lacrime.
Una vetrina dell’Atelier di Christina Bòzzolo
(Christina Bozzolo)
Illustrazioni tratte da Google Immagini e dall’archivio fotografico di Christina Bòzzolo