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Chronicae – Festival del romanzo storico: intervista a Simone Sarasso

Creato il 30 aprile 2015 da Visionnaire @escrivere

logo-chronicae-home-mid-oroEccoci al secondo dei sette appuntamenti con gli autori protagonisti di Chronicae – Festival del romanzo storico, intervistati per È scrivere da Bee.
Vi ricordiamo che pubblicheremo le interviste che ci hanno concesso seguendo l’ordine in cui sono saliti sul palco del Festival: Jason Goodwin (intervista già disponibile QUI), Simone Sarasso e Andrea Molesini, Roberto Bui alias Wu Ming 1, Marcello Simoni e Carlo Adolfo Martigli, Valerio Massimo Manfredi.

Chronicae – Festival del romanzo storico: intervista a Simone Sarasso

Foto di Alessandro Magagna

Simone Sarasso: laureato in filosofia. Scrittore di narrativa, fumetti, cinema e tv. Con Marsilio ha pubblicato La Trilogia sporca dell’Italia: “Confine di stato” (finalista al Premio Scerbanenco 2007), “Settanta” e “Il paese che amo”, descrivendo il lato oscuro del nostro paese dal secondo dopoguerra a Tangentopoli; Carlo Lucarelli l’ha definito “il nuovo maestro italiano del noir”. Con Rizzoli ha pubblicato “Invictus”, dedicato all’imperatore Costantino (Premio Salgari 2014), “Colosseum” e “Aeneas”, primo volume di un dittico dedicato all’eroe troiano.

L’intervista si svolge a metà del pomeriggio di sabato 18 aprile, terzo lunghissimo giorno di Festival, dopo due ore in cui non siamo riusciti a incontrarci. Si scusa tantissimo, anche se non è colpa sua, e già da questo si capisce che è una persona splendida. Ci dedica più di mezz’ora, senza fretta e con infinita disponibilità, nella saletta con i tavoli destinata agli autografi dei libri alla fine degli incontri, in quel momento deserta e tutta per noi. Appollaiati vicini vicini, parliamo piano perché a una porta di distanza, sul palco del teatro, è in corso una rievocazione storica delle dominazioni a Piove di Sacco. Ecco cosa ci siamo detti.

È scrivereQuali sono i motivi per cui hai scelto di dedicarti a questo genere?

Simone – Ho avuto una folgorazione, come quando sei innamorato da anni di una donna e poi perdi la testa per un’altra, improvvisamente. Io sono un autore di noir prestato allo storico, ma che in realtà vive ormai a regime di bigamia *ridacchia* perchè un’estate – per colpa di Mauro Marcialis, un altro autore di noir che ha scritto un romanzo storico su Spartaco – mi sono completamente innamorato del genere; ho cominciato a leggere un po’ di cose, italiane e non solo, ho conosciuto questo autore inglese di nome Ben Kane, che scrive romanzi di ambientazione storica molto belli e molto ritmati, e ho detto “cavolo, vorrei farla anch’io questa cosa”. La prima storia in cui mi sono imbattuto è quella dell’Imperatore Costantino e ho avuto grande fortuna, perché è una storia veramente da film oltre che da romanzo, e perché nessuno l’aveva mai raccontata. È incredibile. Quella è stata la mia grande fortuna, e quello è stato – ed è attualmente – il mio bestseller.

È – Ne faranno una trasposizione cinematografica?

S – Siamo in combutta con dei francesi da un po’ di tempo, quindi potrebbe succedere.

ÈQuanto è importante una documentazione accurata per poter scrivere un buon romanzo storico?

S – Diciamo che è il 90% del lavoro. Spesso mi fanno la domanda: quanto c’è di vero e quanto è invenzione?

ÈÈ dopo, eccola *indica il foglio con le domande*

S – Comincio già a rispondere. Devo dire che nel caso di Colosseum e di Invictus il 99% è vero. C’è da dire che la scelta dei documenti e della documentazione non è banale, perché non basta prendere un libro su Costantino per capire chi era, dipende quando lo storico ha deciso di occuparsi di quell’argomento. Ecco perché, specialmente in un libro su Costantino… *dal palco giungono dei lamenti* nel frattempo succedono cose strane nell’altra stanza, questo mettiamolo agli atti: di là c’è gente che geme, in costume. *ridono un sacco, ma cercando di non fare troppo rumore* Nel caso di Costantino ho scelto di fare una panoramica anche delle analisi storiche dal 1830 fino ad ora, perché c’era il libro di Jacob Burckhardt, L’età di Costantino, che è un pilastro della storiografia costantiniana, però è stato scritto nel 1870 e Burckhardt aveva un approccio molto “imperiale” alla questione; se invece si fa riferimento alle fonti contemporanee o quasi, ad esempio la Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea, si è davanti a un’agiografia, dove i fatti sono reali ma il punto di vista è assolutamente filocostantiniano. Io mi sono riferito all’opera di Arnaldo Marcone, uno storico molto più vicino a noi, che è forte di scoperte un po’ più recenti e soprattutto ha un punto di vista più disincantato e contemporaneo; mediando queste varie fonti ho cercato di dipingere la figura di Costantino nella maniera più aderente alla realtà, lasciandomi quell’1% per raccontare la psicologia, quello che sentiva, quello che provava, il modo in cui parlava, eccetera.

È – La parte psicologica è immaginata?

S – È l’unica cosa che non ci è trasmessa. Anche di Cesare, su cui si è scritto tantissimo e di cui abbiamo le parole, ad esempio il De bello gallico, non possiamo conoscere i pensieri. Anche se si dovesse scrivere un libro su Adolf Hitler, nonostante abbiamo il Mein Kampf, sarebbe complicato sapere cosa gli passasse per la testa quando si svegliava al mattino. Lì sta la vera invenzione e lì sta la differenza tra il lavoro del romanziere e quello dello storico puro: il romanziere può permettersi di essere arbitrario, deve far entrare in qualche modo la sua voce nella testa del personaggio che racconta.

È – Sempre a proposito di realtà e finzione, anche ieri hai detto che “non si può giocare con i fatti”, quindi ecco la domanda che ti dicevo prima: quanto deve esserci di reale in un romanzo storico?

S – Insisto a dire che, per rispetto del lettore – oltretutto il lettore di romanzi storici è uno con delle priorità: imparare qualcosa, sentirsi raccontare l’epoca che ama, o magari conoscerla in maniera approfondita – non ci si può non prendere cura di questo aspetto, perché sarebbe un tradimento nei suoi confronti. Vuoi fare un fantasy, fai un fantasy, vuoi fare un romanzo distopico, fai un distopico, vuoi dire che Costantino aveva le astronavi, puoi farlo. Ma non è più un romanzo storico. Quando si fa un romanzo storico l’accuratezza deve essere la prima preoccupazione. *mentre Bee annuisce dall’altra sala giungono degli “evviva, evviva”* C’è molto entusiasmo di là. *ridono, ma piano*

È – Quanti altri volumi conterrà il Ciclo Romano, oltre alla seconda parte del dittico su Enea? E quali altri personaggi ci racconterai?

S – Allora, io ho delle idee e non so se saranno condivise dal mio editore… o magari saranno condivise da qualche altro editore, chi lo sa. *ride* Però di sicuro con Rizzoli fino ad ora ho fatto un percorso a ritroso: sono partito da Costantino, 313 d.C., quasi la fine dell’Impero o comunque l’inizio della fine; sono tornato all’80 d.C., anno di fondazione dell’Anfiteatro Flavio, ho raccontato la prima giornata di giochi e quello che stava “a monte”; poi sono andato ancora più indietro, raccontando la storia di Enea, che arriverà tangenzialmente alla fondazione (tutti che parlano di questa “fondazione”… si suppone intendano di Roma, NdR). La mia idea è continuare a occuparmi del mito, non andare ancora più indietro ma spostarmi di lato, perché duranto lo studio del mito per la costruzione dei romanzi su Enea ho incontrato un altro grande personaggio, che secondo me meriterebbe almeno un trittico perché ne ha fatte tantissime, ovvero Ercole. Lui, oltre a essere il primo distruttore di Troia – a mani nude, tra l’altro – è stato anche Argonauta, ha fatto le dodici fatiche, è stato schiavo per un anno dopo aver sterminato la famiglia, ha vissuto esperienze al limite dell’incredibile, almeno secondo il racconto del mito; trovo che sia uno straordinario personaggio da romanzo e mi piacerebbe raccontare la sua storia in tre volumi.

È – Sarà un semplice essere umano o sarà comunque un semidio?

S – Assolutamente un semidio! Prendiamo per buono tutto quello che ci viene dal mito, trattando il mito come un documento storico. È esattamente quello che ho fatto in Aeneas: ho cercato di non sgarrare rispetto alla tradizione che ci viene consegnata dal mito, e ho cercato di rendere fluide e fare interagire le varie tradizioni per sceglierne solo una, visto che del mito ci sono varie versioni.

È – Hai parlato di trittico, quindi ti faccio una domanda un po’ provocatoria: come mai…

S – C’è questa fissa *ride*

È – Esatto, nel genere storico – ma non solo! – c’è questa abitudine a sfornare trilogie, saghe, cicli…

S – O per tre o niente.

È – Proprio! Il libro singolo non vale più niente?

S – In realtà io un po’ ho trasgredito a questa regola, perchè il mio primo storico è un’opera a sé, così come il secondo, che non prevedeva una continuazione.

È – Tu sei un po’ l’eccezione alla regola.

S – Sì, ma perché tutta quella storia ci stava in un romanzo solo. Il problema è quando la materia esorbita. A volte la storia è talmente ricca che, se vuoi raccontarla in maniera efficace, hai bisogno di tanto tempo. Per esempio adesso sto scrivendo una nuova trilogia noir sulla mafia americana, e dovrebbe essere una trilogia, tecnicamente; dovrebbe coprire cent’anni di mafia americana, dal 1901 al 2001, a New York. Il problema è che ho quasi finito il primo volume e sono più o meno al prologo di quello che avrei voluto raccontare nel primo volume. Quindi credo che i volumi saranno molti più di tre.

È – Quindi è solo una questione di storia che necessita più spazio.

S – Sì. È un po’ come il discorso che si faceva tanti anni fa sull’opera di Martin e sul fatto che lui abbia sempre rifiutato di farci un film: lui diceva “non posso permettere che sia così falcidiata per farla stare in due ore, quando si avranno gli strumenti per fare una narrazione più lunga darò il mio benestare”. Infatti è quello che è successo.

È – Che consigli daresti a chi vuole cimentarsi nello scrivere un romanzo storico?

S – Innanzitutto di studiare, studiare, studiare, fino a farsi sanguinare gli occhi. Questa è la prima regola perché, come dicevo prima, non si può pensare di raccontare ciò che non si conosce. Detto questo, l’aspirante scrittore storico non deve essere terrorizzato dal fatto di non sapere nulla, in principio; anzi, quello potrebbe essere un vantaggio. Io di solito, quando comincio a occuparmi di un argomento, di un romanzo nuovo, ho una grande idea ma non so assolutamente nulla: parto da un grado zero, che è dato da una bibliografia minimale che stilo guardando internet; dopodiché il lavoro di documentazione, che è capace di durare magari anche un anno, ti porta sempre più addentro e a quel punto sviluppi un gusto, anche per quello che vuoi raccontare e quello che trovi noioso da un punto di vista narrativo. Però il documentarsi, il sapere a menadito ciò che succede nel tuo libro, credo sia la conditio sine qua non per scrivere un romanzo storico.

È – Tre romanzi storici che bisogna leggere almeno una volta nella vita (esclusi i tuoi).

S – Non avrei mai citato i miei! Proprio da un punto di vista di apprezzamento artistico. *ridacchia* Sicuramente – anche se… chi lo sa se è un romanzo storico – Il pendolo di Focault di Umberto Eco, che parla di migliaia di anni di storia pur essendo ambientato in sei mesi a Torino, nel 1980 e qualcosa. Poi sicuramente – io lo considero un romanzo unico anche se sono due – Il mio nome è nessuno di Manfredi, perché è quello che ha acceso molte scintille in me come autore. E poi naturalmente Q di Luther Blissett – il nome con cui il collettivo Wu Ming si faceva chiamare prima – una storia sulla riforma di Lutero, ambientata tra il 1500 e l’inizio del 1600, uno dei più grandi romanzi storici che siano mai stati scritti.

*dalla risposta scaturisce una discussione estremamente colloquiale e del tutto inpubblicabile sul romanzo e sulla scrittura dei Wu Ming, che finisce quando Simone prende il telefono per sentire dov’è Roberto (il Wu Ming 1, che sarà sul palco qualche ora più tardi)*

È – Quindi voi autori siete in contatto tra di voi. Ogni tanto vi scambiate anche consigli o pareri?

S – Quello dipende. Io ho degli autori che per me sono stati dei numi tutelari, quindi una sorta di maestri; i Wu Ming sono tra questi, poi Giancarlo De Cataldo, che è proprio il mio maestro. Sono molto interessato a quello che pensano, però non ho mai messo becco sulle cose loro. Poi ci sono autori come Vanni Santoni, che è un mio fraterno amico, con cui ho un rapporto davvero simbiotico: sia io che Vanni non facciamo uscire un libro se l’altro non l’ha letto prima e non l’ha mazzuolato. Infatti io lo ringrazio sempre, alla fine dei miei ultimi romanzi, perché da qualche anno abbiamo preso questa abitudine e devo dire che funziona, perché siamo spietati l’uno con l’altro; avere uno sguardo di un professionista, che è anche un tuo amico e quindi non te le risparmia, è un’ottima cosa. Quindi sì, succede. Per molti anni siamo stati, specialmente noi autori di genere, qualcosa di più di una comunità: siamo stati una famiglia. Infatti lo vedi, ad esempio qua io mi sento a casa, con Matteo (Strukul, uno degli organizzatori dell’evento e autore a sua volta di romanzi storici, NdR) siamo quasi come fratelli. E non ci siamo conosciuti prima di fare questo mestiere: facendo questo mestiere si sono creati dei legami speciali.

È – Secondo te come si colloca, soprattutto a livello qualitativo, il romanzo storico made in Italy nel panorama letterario mondiale? Riusciamo a sfruttare il nostro bagaglio storico-culturale?

S – Secondo me no, perché non ci sono abbastanza autori. Non è che quelli che abbiamo non siano molto bravi, ma secondo me sono molto pochi. Si pensi alla quantità di autori anglosassoni, o di lingua spagnola, che scrivono questo genere: c’è un sacco di creatività. Da noi li conti sulle dita di una mano, non arriviamo a cinquanta… e sto già dicendo un numero esagerato – parlo di autori che hanno una rilevanza a livello internazionale, che sono tradotti all’estero. E questo è un peccato, perché in fin dei conti la terra in cui siamo nati è moderatamente ricca di storia. *ride*

È – Moderatamente. *ride* In effetti, chi più di noi dovrebbe approfittare?

S – Esatto. Magari è normale che, con tutto il rispetto per la straordinaria nazione australiana, in Australia ci siano meno autori di romanzi storici. Ma in realtà non è così, perché ci sono autori di romanzi storici giapponesi o australiani particolarmente dotati, con una rilevanza e un’incisività a volte superiori alla nostra. Io parlo di tutti tranne Eco e Valerio (Manfredi, NdR), è chiaro che loro hanno quella levatura internazionale; un po’ – prendi con beneficio di inventario questo “po’” – anche i Wu Ming, nel senso che loro sono tradotti, in America e nel mondo anglosassone a lungo si è parlato dei loro romanzi storici. Però un personaggio anche non troppo noto come Ben Kane, che scrive romanzi storici di ambientazione classica, magari da noi non è molto conosciuto, ma nel resto d’Europa è un bestselling author. Tutto sommato credo che il nostro potenziale non sia sfruttato a dovere.

È – Infine, ultima domanda, anche se un po’ ne abbiamo già parlato: prossimi progetti? Parlavi della trilogia noir, hai già cominciato a scriverla?

S – Sì, ho cominciato a scrivere il primo volume di questa nuova saga, che si chiama Cent’anni, e diciamo che sono quasi alla fine: mi mancheranno 100.000 battute, grossomodo. Però il problema è che non so quando farlo finire, perché il mio progetto per questo romanzo era molto più esteso, quindi devo trovare una chiusa rispetto alle tante cose che succedono, in cui uno dei quattro protagonisti – Frank Costello, Charlie Luciano, Meyer Lansky e Bugsy Siegel – faccia qualcosa di definitivo. Per esempio a un certo punto, ma questa è storia quindi si può dire, non è uno spoiler, Lucky Luciano viene arrestato, e forse chiuderlo lì potrebbe essere un’idea. Però ci sto ancora pensando. Ecco, attualmente lavoro forte su questo, mentre invece non ho ancora iniziato a scrivere il secondo di Enea.

È – Ma riesci a scrivere due libri contemporaneamente?

S – *con totale nonchalance* Sìììì, riesco a fare molte più cose contemporaneamente.

È – Lo dici come se fosse facilissimo!

S – Ma sì, è come se chiedi al mio idraulico “ma riesci a cambiare due tubi della caldaia in una giornata?”, ti dice di sì, perché è il suo mestiere. Ognuno ha il suo mestiere. In realtà faccio molte più cose contemporaneamente, e infatti questo è il motivo per cui sono sempre stanchissimo. *ride* Insegno scrittura alla NABA. Inoltre faccio dei progetti di narrativa “sperimentale”, con un incubatore di impresa di Roncade che si chiama H-Farm, sul digitale anche per le aziende, che sono mondi molto complicati da coniugare con la narrativa; sono cose molto belle, con cui mi diverto un sacco. Con loro ho fatto una serie, tanti anni fa, che andò in onda su Current Tv: era una serie crime interattiva, dove lo spettatore poteva partecipare all’indagine facendo dei giochini su internet – erano gli albori di internet usato in quella maniera – e poteva influire sull’andamento della storia; fu un progetto molto sperimentale, adesso sono passati più di dieci anni e facciamo cose molto più “spinte” da quel lato. Anche su un lato che ha più a che fare con le aziende, con quello che le aziende richiedono, non da un punto di vista di marketing, ma magari da un punto di vista di indagine interna delle risorse…

È – Per me è arabo antico, eh. Faccio sì con la testa ma non sto capendo.

S – Lo so, lo so, nei primi tempi era lo stesso per me. Per esempio abbiamo chiuso da poco e presentato – adesso ti dico il nome tecnico che suona come l’arabo antico, e poi ti spiego che diavolo è. *Bee ride* Allora, Generali e Alleanza (due compagnie assicurative, NdR) avevano chiesto a Digital Accademia un processo di assessment narrativo, un’indagine di alcune capacità che i dipendenti di Alleanza e Generali hanno: capacità tecniche, che si chiamano hard skill, tipo “sai usare il programma gestionale tal dei tali”, oppure le soft skill, che hanno a che vedere con, per esempio, la tua predisposizione al cambiamento, all’adattamente, eccetera. Ora, per indagare queste peculiarità occorreva una storia…

È – Questo è il lato narrativo dell’assesment narrativo?

S – Esatto. Io, in collaborazione con un team di studiosi della personalità, una psicologa e la gente che si occupa del digitale, ho costruito una storia di corrieri in bicicletta, che racconta il cambiamento in riferimento al mondo aziendale, in modo non banale, non noioso, con colpi di scena. E ci abbiamo impiegato quasi un anno a far funzionare questa cosa, perché poi doveva essere uno strumento di rilevazione, per cui doveva avere una validità scientifica: se tu mi rispondi quella tal cosa, allora vuol dire che manifesti quella tal attitudine. Per bilanciarlo e farlo funzionare con la narrazione ci abbiamo messo un po’, però è stata una tra le cose più belle che ho mai fatto. Anche perché è veramente narrativa sperimentale: usare le storie per creare dei possibili approcci all’umanità.

È – Che sia il futuro della narrativa?

S – Forse sì, o forse è semplicemente il futuro di queste robe qui: una volta passava una psicologa e ti dava dieci domande aride, dalle quali eri molto spaventato, invece adesso leggi una storia ed esprimi delle preferenze, da cui viene tratto un profilo di quello che provi rispetto ad alcune situazioni in azienda.

È – È veramente una cosa bella.

S – Devo dire che siamo molto orgogliosi. All’inizio era panico puro, nessuno di noi aveva idea di come farlo, adesso abbiamo cominciato a stabilizzare il format ed è adattabile a varie cose, infatti adesso ne stiamo facendo uno nuovo per UniCredit e sta venendo piuttosto bene… una storia di corse.

È – Romanzi ne hai scritti un sacco, scrivi due cose alla volta come l’idraulico, fai questo mestiere… ma da quant’è che scrivi?

S – Dieci anni. Dieci romanzi in dieci anni.

È – E in dieci anni hai imparato a essere come l’idraulico?

S – Beh, dieci anni secondo me sono sufficienti per capire se di questo ci puoi vivere o se devi fare altro.

È – Ormai sai tutto…

S – No, sapere tutto guai, perché smettere di imparare è la morte. Se non mi diverto più vado a fare davvero il meccanico. Cosa che peraltro voglio fare nella vita, prima o poi.

È – Pure?

S – Prima o poi vorrei imparare dal mio amico Fabrizio. Io glielo dico sempre: “se va male ‘sta roba della letteratura mi prendi in officina? Non so fare niente, però tu mi insegni, mi dai quello che dai a un apprendista anche se ho quarant’anni”, io lo faccio. Che mi frega? A me le macchine piacciono tanto.

È – E tutto si impara.

S – Per cui smettere di imparare mai, altrimenti davvero ti stufi, però sul fatto di padroneggiare alcuni meccanismi quello sì; in dieci anni è quasi inevitabile che tu non abbia più la paura della pagina bianca, che tu sappia gestire un dialogo…

È – Anche a scrivere si impara.

S – Si impara, si impara. Io insegno anche scrittura, alla Nuova Accademia di Belle Arti a Milano, tengo dei corsi su alcune opere di Alan Moore; uno degli scopi del corso è creare uno spin-off di Watchmen, per cui arrivo a fare delle esercitazioni sull’ambientazione, sul dialogo, sulla voce dei personaggi, prendo per mano i miei allievi e gli faccio fare passo passo la strada: tutti arrivano a scrivere un racconto in tre ore, alla fine del corso. Detto questo, non tutti sono dei capolavori, il talento non è insegnabile. Ma il talento non è sufficiente per diventare uno scrittore, occorre anche – almeno per quanto mi riguarda – disciplina, applicazione… io sto dieci ore al giorno sui tasti, quello è il mio mestiere.

Con Bee sognante, ormai dimentica di essere lì per un’intervista destinata al pubblico e non per i fatti suoi, questa stupenda chiacchierata termina.
Non sono terminate però le cose interessanti dette da questo autore, che ritroverete negli articoli destinati al Festival all’interno del prossimo numero di È magazine.
Ringraziamo ancora Simone Sarasso per la sua infinita gentilezza (durante l’intervista e non solo!) e vi diamo appuntamento alla prossima intervista dedicata al romanzo storico: Andrea Molesini.

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    Bee

    Chi sonoEx miope, ex maestra, ex fumatrice, ex ragazza di parecchi idioti… so cosa sono stata, purtroppo non riesco ancora a vedere cosa sarò. Intanto leggo, scribacchio e perdo tempo. La parola che scrivo più spesso: MA.


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