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Chronicle di Josh Trank: l'abuso di superpoteri nuoce gravemente alla salute
Creato il 26 maggio 2012 da SaramarmiferoUn'opera prima convincente, Chronicle, che ha messo d'accordo un po' tutti. Dalla platea generalista, attirata nelle sale con la promessa del blockbuster di supereroi, al popolo di cinemaniaci compulsivi, genere 'alzi la mano chi individua più velocemente una citazione', fino ai criticoni da Cahiers du cinéma, con la loro valigia di scetticismo e il loro pellegrinaggio cinematografico allergico al turismo di massa da pop-corn movies. Non per niente, il regista esordiente Josh Tranksembra condividere con il suo pubblico la stessa tronfia cinefilia, ai limiti del nerdismo, imboccata nel corso dell'adolescenza a furia di cucchiaiate di videogames, il cui stile fa da contrappunto ormai apertamente a gran parte del cinema d'azione dei giorni nostri, e scorpacciate di film d'ogni genere. Un talento grezzo ma luminoso, quello del ventiseienne Trank, che la Hollywood dei grandi circuiti (nella fattispecie Marvel e Sony Pictures) ha subito voluto in scuderia, affidandogli proprio in questi giorni tre motori visivamente potenti quanto qualitativamente pericolosi: il regista sarà infatti impegnato in un reboot de I Fantastici quattro e in uno spin-off di Spider-man dedicato al personaggio di Venom, entrambi prodotti dallo studio specializzato in comics film, nonché nella trasposizione per il grande schermo di Shadow of the Colossus, tra i più acclamati videogiochi mai usciti per la piattaforma Playstation 2. La trama ha il sapore del déjà vu: tre più o meno ordinari adolescenti vengono per caso a contatto con una strana sostanza, che dona loro dei superpoteri. Ma il trio rifiuta il richiamo all'eroismo di Superman&friends, cedendo, ben più realisticamente (non si capisce perchè l'essere umano, responsabile numero uno della deriva terrestre, una volta divenuto sovrumano dovrebbe pre-occuparsi delle sorti del pianeta e dei suoi abitanti), alla tentazione di usare la telecinesi per alzare le gonnelle di avvenenti fanciulle, o la capacità di volare per giocare appassionanti partite di football tra le nuvole. Non ci vorrà molto perchè Andrew (Dane DeHaan), il ragazzo più problematico, si abbandoni alle lusinghe di quello che potremmo benissimo definire il 'lato oscuro della forza', vista la somiglianza di espressione tra l'allucinato e rabbioso protagonista, e l'Anakin Skywalker convertitosi ai Sith, già prossimo alla maschera da enfisema polmonare di Darth Vader. Se invece di avere al proprio fianco una madre malata terminale e un padre abituato ad alzare le mani, oltre che il gomito, Andrew fosse cresciuto all'ombra dei consigli del saggio zio Ben dell'Uomo Ragno, che redarguiva il nipote aracnide ripetendo “a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità”, forse non lo vedremmo cedere il passo al terribile "superpredatore" del finale, pronto a mettere a ferro e fuoco la città. L'idea non è nuova, l'avevano già avuta Brian De Palma con la furia assassina di Carrie - Lo sguardo di Satana e Katsuhiro Otomo nell'anime cult Akira. Nel filone supereroistico, poi, storie sopra le righe come Kick-Ass e Super, in cui persone normali strizzate in improbabili tutine da giustiziere fingevano di avere superpoteri, hanno contribuito a variare il tradizionale spartito fumettistico. Trank mette quindi la sua cinefilia di proporzioni enciclopediche a favore del plot, oltre che dello stile. Si muove inquieto in un ritratto estremamente crudo del desolato nucleo familiare di Andrew, lontano anni luce dalla linda middle-class americana tanto cara ai teen-movies, dipingendo a tinte cupe un degrado che sembra sgusciato via dalle cosce di un certo cinema europeo, alla fratelli Dardenne per spararne una, o dalle storie borderline delle pellicole indie Sundance-style, piuttosto che dall'opulento grembo di una major come la 20th Century Fox. Non temete, l'allegria e la goliardia genuinamente anarchica dei tre apprendisti supereroi sventa il 'pericolo stereotipo' che facilmente si annida in ambientazioni di questo tipo.
Ma veniamo al dunque. Il motivo per cui, giustamente, gran parte della critica si è dilungata su questo interessante ma non impeccabile esordio, è che il film-maker californiano riesce ad infondere un'inedita linfa vitale ad una tecnica, quella del found footage, che sembrava irrimediabilmente appassita, dopo un'intensa quanto scellerata fioritura inaugurata sul volgere dei '90 da The Blair Witch Project. Esaurità l'originalità iniziale, infatti, l'espediente narrativo delle immagini riprese direttamente dai personaggi attraverso piccole videocamere, apparentato all'altrettanto abusato mockumentary, ha preso a infestare come una gramigna il florido sottobosco dell'horror e della fantascienza in particolare, dal frachise Paranormal activity al monster movie Cloverfield, senza dimenticare i morti viventi di The zombies diaries e l'escursione nel cinema di guerra con Redacted. Il merito di Chronicle, è quello di servirsene con cognizione di causa. Il film non prende vita se non nelle immagini ossessivamente riprese da Andrew con cineprese, cellulari o con qualsiasi protesi tecnologica gli consenta di erigere una lente protettiva verso un ambiente sociale, ed affettivo, dal quale si sente escluso. “Ne ho bisogno”, spiega il ragazzo, mentre l'occhio della telecamera - metafora raddoppiata del voyerismo alla base dell'arte cinematografica? - pedina ogni oggetto o persona: gli amici, i genitori, il liceo, se stesso. La spasmodica pulsione alla ripresa dell'homo filmicus Andrew, che si illude così di compensare un'identità sbranata dalle insicurezze grazie ad un riaggiornato motto cartesiano “filmo ergo sum”, giustifica una messa in scena decisamente debitrice dell'estetica dei videogiochi, qui estremamente congeniale al ritmo e alla potenza visiva della storia. Resa fluttuante dal superpotere del protagonista, la cinepresa ci regala la vertigine di una planata ad alta quota, o la semplice ma efficace trovata di un dialogo in cui il campo-controcampo si consuma non già tra due personaggi, ma tra due obiettivi accesi l'uno di fronte all'altro.
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