Pubblico qui di seguito il mio editoriale sul censimento che è apparso oggi sul Corriere dell’Alto Adige. Desidero però fare una piccola premessa e dichiarare una fonte nascosta. La premessa: il presidente Durnwalder ha detto che nella compilazione dei questionari bisogna essere “sinceri”. Il presupposto tacito è che per essere “sinceri” ognuno alla fine debba riconoscere che qui in Sudtirolo non è possibile “essere” che o tedeschi o italiani o ladini. Si tratta di una evidente “menzogna” e uno dei limiti più evidenti della nostra autonomia (probabilmente un limite strutturale, quindi difficilmente eliminabile se non ripensandone completamente le coordinate e le finalità). Qui vivono infatti anche numerose persone che se si dichiarassero “tedesche”, “italiane” o “ladine” tradirebbero la percezione più elementare della propria “composizione identitaria”. Si tratta evidentemente di tutti coloro i quali sono nati per esempio in altre parti del mondo dove non si parlano queste lingue, dei loro figli e di tutti quelli che, nati da famiglie nelle quali i genitori parlano più di una lingua, non possono affermare di appartenere sic et simpliciter a un solo gruppo linguistico ufficialmente riconosciuto (e solo a quello!). Sarebbe veramente ora che di questo fatto se ne tenesse conto. Oppure che la si smettesse di fare inverosimili richiami alla “sincerità”. La fonte nascosta: questo articolo è nato in parte come traduzione di un intervento pubblicato da Simon Constantini sul blog www.brennerbasisdemokratie.eu.
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Come ormai noto, il nuovo regolamento che sarà introdotto nell’imminente censimento prevede per la prima volta che la consistenza numerica dei gruppi linguistici venga constatata in modo anonimo. A questo scopo il rilievo statistico è disgiunto dalla dichiarazione d’appartenenza linguistica individuale. A ben guardare ciò rappresenta però una vittoria piuttosto esigua per tutti quelli che si opponevano al “Proporz” e alla politica di “segregazione”. Soltanto prospettando un superamento dell’impianto rigidamente etnico dell’autonomia, infatti, sarebbe veramente possibile aprire nuove prospettive per il nostro modello di convivenza.
In passato la dichiarazione unica (cioè non disgiunta) riusciva almeno a cogliere allo stesso tempo due risultati. Era cioè possibile stabilire la corrispondenza tra il valore statistico della rilevazione e quello numerico espresso dalle singole dichiarazioni. Con l’introduzione del nuovo sistema questa corrispondenza invece non è più garantita. Per la prima volta è dunque pienamente possibile che i cittadini si dichiarino al censimento appartenenti a un gruppo linguistico (magari barrando per protesta anche la categoria “altro”) e poi, ripensandoci o per opportunismo, cambino la propria dichiarazione aggregandosi al gruppo che ritengono capace di garantire loro più vantaggi. Se ciò si verificasse in modo accentuato – cosa faranno per esempio i famosi e invisibili “mistilingue”? – è chiaro che non avremmo soltanto la dimostrazione di quanto ormai paradossale e arretrato si stia rivelando l’intero sistema, ma anche un concreto danneggiamento di un gruppo a scapito di un altro. Non va infatti dimenticato che la dichiarazione continuerà comunque a essere rilevante per far funzionare, in tutti i contesti che ne prevedono l’applicazione, la logica proporzionale in base alla quale sono in primo luogo i gruppi (e gli individui che in essi si riconoscono senza obiettare) i soggetti depositari di determinati diritti. Bisogna notare infine che la discrepanza tra i dati statistici e quelli della dichiarazione individuale in questo caso non potrà neppure essere quantificata, aprendo le porte a speculazioni e illazioni di ogni sorta.
Il quadro appena visto propone una morale scoraggiante. Senza bisogno di arrivare a dire che “si stava meglio quando si stava peggio”, è evidente che il corpo reale della società sudtirolese non riesce più a stringersi negli abiti formali (cioè nelle uniformi) che è costretto ad indossare. E non è che cambiando colori o aggiungendo qualche tasca le cose migliorino di molto, perché il vero problema è quello della taglia. Ci vorrebbe insomma un sarto nuovo. Abbiamo dieci anni di tempo per trovarlo.
Corriere dell’Alto Adige, 6 ottobre 2011