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Arriviamo in un tipico complesso residenziale di periferia - incredibilmente non siamo ancora in aperta campagna - con i palazzi tutti uguali, le sbarre, i negozietti al piano terra, la desolazione notturna delle vie circostanti. Compriamo da bere e da mangiare in uno squallido tugurio che sembra un pizzicagnolo medievale con un edificio moderno in cima. Saliamo, per fortuna c'è l'ascensore, un accessorio che in Cina non è mai da dare per scontato.
Trascorriamo varie ore storditi dalla birra, dalle chiacchiere, dal torpore e alla fine anche dalla luce dell'alba. Gente va e viene: ad un certo punto mi ritrovo persino sdraiato sul divano con la ragazza, noi da soli, nell'intervallo di qualche istante o di qualche ora che scorre troppo rapida tra la partenza di un gruppetto e l'arrivo di un altro. Poi la curiosità, la magia della situazione, il fascino di una lingua che ancora non comprendo bene e di una cultura che forse non capirò mai svaniscono così, quasi d'un tratto, con il cip di un uccellino che si poggia sul davanzale.
È ora di andare. Ho salutato, sono in strada, passa un taxi e lo fermo. Ho in tasca i soldi che sarebbero stati sufficienti per pagarmi il viaggio dal locale all'albergo e magari aggiungerci una bibita e uno spuntino, ma questa è una tratta molto più costosa. Con la metropolitana non ci sarebbero problemi, da dovunque parti e ovunque arrivi costa sempre pochi kuai, ma dove la prendo? Sono persino all'esterno del perimetro segnato sulla mia cartina della città.
Salgo, dico al tassista di portarmi alla stazione più vicina, ma con una certa fatica gli spiego anche che si deve fermare quando il tassametro segna la cifra che ho con me: da lì in poi proseguirò a piedi. Non credo sia una bella informazione con cui esordire in un taxi, d'altro canto non avrei saputo cos'altro dire, se non la pura verità. Il tassista sorride, ha voglia di chiacchierare, mi chiede di dove sono, se mi piace qui.Chissà se ha capito. E chissà se ciò che non comprende è quel che dico o piuttosto quel che faccio.
All'inizio, travolto dai dubbi, sono un po irrigidito, non devo sembrargi un tipo molto amichevole, ma poi l'auto si ferma a un semaforo e mi lascio andare. Quando la conversazione si intoppa su una pausa lui mi guarda e sorride, coi denti anneriti dal tartaro che fanno a pugni con quegli assurdi guanti bianchi da chauffeur. "Non ti preoccupare, mi dai quello che puoi, ma io ti porto comunque alla stazione."
Eccoli lì. Mannaggia a loro, ci stanno provando un'altra volta. Ma io non ci sto e allora provo la mossa d'orgoglio e dico che non c'è n'è bisogno, prenderò un autobus, camminerò, che ne so, tutto ma il taxi gratis no. Mi zittisce con un altro sorriso, borbotta qualcosa e preme sull'acceleratore.
Gli ho pagato poco più di mezza tratta. A uno che non ha nemmeno i soldi per il dentista. Cammino veloce nel tunnel della metro. Cammino ed ecco che mi prende di nuovo. Ci hanno provato ancora e come spesso accade ci sono riusciti. A sorprendermi, a mettermi in imbarazzo, a sbugiardare i miei sospetti e a farmi venire gli occhi un po' lucidi. Oh sì, ci sono riusciti, eccome se ci sono riusciti.
Ma alla fine è anche bello essere sorpresi.
Guangzhou, Cina, maggio 2007
Foto: Aeroporto Internazionale di Guangzhou, di Fabio
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