Tra le varie e celestiali proposte della scorsa campagna elettorale il primato in termini di costo è ottenuto dall’idea, firmata 5 Stelle, di introdurre un reddito di cittadinanza. In realtà il nome stesso della proposta è impreciso, perché nei termini grillini questa prende più che altro la forma di un sussidio di disoccupazione o di una sorta di reddito minimo garantito.
Problemucci formali a parte, le letture di questo punto sono due: o si tratta semplicemente di una riscrittura generalizzata degli attuali ammortizzatori sociali oppure parliamo di un nuovo elemento, un fattore addizionale di rigidità in un mercato del lavoro, quello italiano, già non troppo elastico di per sé. In entrambi i casi sorgono difficoltà sia in ambito macroeconomico sia per la becera contabilità.
Impiegando un’interpretazione minimale e considerando che i dati Istat parlano di circa 5.720.000 disoccupati ufficiali, il costo previsto di questo “sussidio” è di circa 68,48 miliardi di euro annui: due IRAP. Questa cifra si potrebbe però attutire inglobando in essa quelle forme di sicurezza sociale che si sovrapporrebbero a questo vasto ed unico meccanismo; per l’anno 2011 si parla di 17,97 miliardi spesi in ammortizzatori sociali, la cui piena annessione porterebbe la spesa al modico costo di 50,51 miliardi circa.
La questione sarebbe fin troppo noiosa se finisse già qui, perché un paio di magie finanziarie e l’onnipresente lotta all’evasione fiscale basterebbero a materializzare in pochi istanti la somma necessaria.
Supponiamo di avere i nostri bei 50 miliardi e di impiegarli all’istante; la manovra incrementa il famigerato “z”, che non sta per Zorro ma indica il coefficiente di rigidità del mercato del lavoro; aumentano dunque i salari richiesti per fornire occupazione e le imprese accusano il colpo assumendo meno e aumentando i prezzi per non finire in perdita: si indebolisce così quella moneta che i disoccupati avevano ritirato agli sportelli giusto qualche mese prima.
Voilà! Con una magia un po’ masochista siamo quindi riusciti a trasformare 50 miliardi di euro in disoccupazione ed inflazione.
A differenza di quanto si possa pensare non sono contrario all’introduzione di un meccanismo di questo tipo, che ritengo profondamente umano e civile. Resta però la necessita che una simile riforma venga accompagnata, mano nella mano, dalla rimozione di un qualche altro fardello del nostro mercato del lavoro, evitando in oltre l’ennesima spintarella in avanti al nostro benvoluto debito pubblico; insomma non vorrei chiudere con la solita e boriosa critica al Sistema Italia, quindi vi auguro buoni esami e una pazza estate.
Nicola Rossi
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